Ci sono città verticali, come New York, e città assolutamente orizzontali, come Los Angeles. Ci sono registi che non potrebbero fare a meno di New York (Allen, come è noto), ma, forse, prima che si affermasse il talento di Paul Thomas Anderson, il regista di Boogie nights e soprattutto di Magnolia, era difficile trovarne qualcuno che mostrasse lo stesso trasporto visivo o lo stesso attaccamento osmotico a Los Angeles. Amore e odio, naturalmente. Tanto amore, tanto odio.
I film di Anderson, i suoi personaggi, ne traboccano. Con gli attacchi di panico e le spirali di ansia e il desiderio d'affetto di quelli di Magnolia, si sarebbe potuto riempire anche un altro film, e quello presentato in concorso a Cannes, Punch-Drunk Love conferma che questa strategia fatta di prossimità morbosa nei confronti degli stati di estremismo emotivo dei caratteri intorno ai quali orbita con avidità la sua macchina, è la stella polare del suo cinema, il diapason del suo essere autore.
Come il personaggio di Mark Wahlberg in Boogie nights o quello di Tom Cruise in Magnolia, anche il carattere interpretato da Adam Sandler (un attore che si è affermato negli USA con un filmaccio alla Pieraccioni o alla Neri Parenti, Waterboy), è un grumo di nevrosi e repressione, angoscia e malessere, pronti ad esplodere alla prima scintilla. Le sette sorelle (sette) che lo soffocano con una offensiva richiesta di confidenza e dalle quali lui tenta eroicamente di difendersi, non l'aiutano. Il business che tira avanti sin dalle prime luci dell'alba, l'uniforme e anonimo benessere della casa che abita, le feste familiari che tenta inutilmente di evitare, così come gli eserciti di frigoriferi dei supermercati che frequenta, le tonnellate di pudding che acquista semplicemente per acquisire punti mille miglia per viaggi in aereo che non farà mai, persino un assurdo harmonium depositato senza motivo di fronte al suo ufficio, descrivono la sua vita esattamente per quella che è. Un tragitto enigmatico senza meta, che percorre cercando di nascondere agli altri la disistima, la paura, gli accessi di violenza paranoica.
Una telefonata erotica ad una hot line che gli scatena addosso una incredibile persecuzione di sapore kafkiano e l'incontro fortuito con Emily Watson, che ha provato tenerezza per lui vedendolo in una foto circondato da una vagonata di sorelle, si intrecciano con quella passione per il caos e l'inspiegabilità del destino che Anderson aveva già abbondantemente documentato in Magnolia.
Qui, porta ad un parossimo ancor maggiore, lo studio di quegli istanti in cui tutto sembra aggredirci senza tregua: il telefono, le richieste di attenzione degli altri, lo stress turbinoso del lavoro, la sinfonia stravolta dei rumori dei quali ogni tecnologia riempie il mostro habitat. Anderson colpisce con accanimento il sistema nervoso di personaggi e pubblico. Percussioni intrusive, rapidi movimenti di macchina, montaggio ansiogeno, cazzotti contro le pareti, tamponamenti spaventosi, due scene su tre, Sandler è sballottato tra un attacco di panico ed un aggressione fisica, lo sfogo violento di una tensione e la prostrazione di una condanna incomprensibile, una menzogna patetica e la sua confessione.
Lo sguardo del regista è orizzontale come la sua città, non c'è cielo su Los Angeles, solo uffici-container e grandi highway dove carambolano auto e camion. Il rapporto con gli altri è fatto o di cortesia impersonale o di odio tribale, con niente tra le due. Il telefono è lo strumento privilegiato di contatto ma anche la porta d'ingresso di micidiali intrusioni nella vita privata. Basta pochissimo a creare il pretesto perché l'odio che ognuno cova dentro di sé possa trovare in qualcun altro il preteso necessario a scatenarsi (come in una notevole scena in cui Sandler e Philp Seymour Hoffman, l'attore che Anderson ha, per certi versi scoperto, si confrontano ringhiando l'un l'altro come animali che si contendano un territorio), ma basta pochissimo anche per capire quanto dobbiamo ad una persona che ci accetti e ci ami. Film di ossessiva ricerca della tensione con un protagonista borderline incapace di chiedere aiuto, ha la forza e la testardaggine di costruire in questo inferno di spossatezza nervosa e furia psicofisica, una romanticissima avventura sentimentale che vedrà addirittura Sandler e la Watson sotto un chiaro di luna della Hawai, accompagnati da soavi melodie come in un film di Doris Day. Non c'è terra di mezzo tra odio e amore, non c'è equilibrio o terapia diversa che annullare il primo con il secondo. Una convinzione antichissima e banale quanto avvolgente che sembra aver prodotto, almeno fino ad ora, la più bella storia d'amore del festival.
(Mario Sesti)
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson. Fotografia:
Robert Elswit. Musiche: Jon Brion. Scenografia: William Arnold. Montaggio: Leslie Jones. Interpreti: Philip Seymour Hoffman, Adam Sandler, Luis Guzman, Emily Watson. Stati Uniti, 2002, 88''. V.M