La classe operaia ha perso il suo posto in Paradiso e cerca visibilità al cinema. In un periodo in cui anche la televisione sembra lentamente dimenticare il dramma dei licenziamenti, il cinema pensa a restituire dignità ad una lotta eterna. Gli sceneggiatori si rimboccano le maniche, scendono in strada e registrano nei toni più vari gli umori e le reazioni di una classe orfana di riferimenti politici e sociali precisi. L’incubo di una disoccupazione che logora i legami, acuisce le tensioni, umilia gli spiriti.
Riccardo Milani, dopo una breve parentesi trascorsa tra spot e televisione, con Il posto dell’anima cerca di risvegliare lo stupore e l’indignazione di un pubblico spesso narcotizzato, chiama al suo fianco Domenico Starnone (sceneggiatore con cui aveva già lavorato per Auguri Professore e La guerra degli Antò) e realizza una commedia incentrata sulla crisi occupazionale di una piccola comunità montana del centro Italia.
Milani e Starnone scelgono di non caratterizzare politicamente la protesta, gli scioperi, i licenziamenti. Ancorano tutto semplicemente ad una inaspettata evoluzione economica che obbliga le imprese a ridiscutere le proprie capacità occupazionali. Non esiste nel film una critica alla politica, alle azioni di governo, perché ogni governo, in un contesto più grande di lui, è uguale all’altro, ugualmente incapace di garantire lavoro a coloro che hanno rischiato di morire per esso. E’ la morale quella che conta, l’etica della dignità e del rispetto per cui non può lasciare indifferenti la morte per le esalazioni chimiche di una fabbrica di copertoni. Le multinazionali diventano il bersaglio della protesta in quanto incapaci di vedere le piccole realtà che hanno contribuito a creare o che hanno obbligato a scomparire. I personaggi del film vivono in un limbo di cui pare neppure loro si rendano conto. Trasformati nelle abitudini, incapaci di vivere i cambiamenti, abbandonati dal sistema produttivo che li ha sfruttati per anni e che ora li lascia al loro destino. Persino il sindacato, o quello che ne rimane, assume le caratteristiche di una contrattazione dilettantesca e inefficace.
Eppure, ed è un pregio indiscutibile, Milani non sceglie la via monocorde e rischiosa del dramma. Recupera dal cinema italiano la tradizione della commedia, la innerva di una sottile malinconia e conduce il tutto con mano leggera arrivando senza fretta al dramma finale. Allo stesso tempo rinuncia ad una caratterizzazione precisa dei luoghi dell’azione per estenderli metaforicamente all’intero centro-sud e ad un’America senza volto e senza spazio.
(Massimo Galimberti)
Sceneggiatura: Riccardo Milani, Domenico Starnone. Fotografia: Arnaldo Catinari. Musiche: Piccola Orchestra Avion Travel. Scenografia: Paola Comencini. Costumi: Gianna Gissi. Montaggio: Marco Spoletini. Interpreti: Michele Placido, Silvio Orlando, Claudio Santamaria, Paola Cortellesi. Italia, 2003