Good Bye Lenin, il film di Wolfgang Becker che ha vinto il premio 'Der blaue Engel' per il miglior film europeo all'ultima Berlinale e che ha inaugurato a Roma la quarta edizione del Festival del Cinema Tedesco può essere sicuramente interpretato come una commedia asciutta e tagliente dai pacati risvolti politici ma, prima di tutto, rappresenta una sottile riflessione sulla Germania e sull'impatto che la caduta del muro e la fulminea riunificazione ha esercitato sul vissuto quotidiano di molti tedeschi dell'est.
Christiane (splendidamente interpretata da Katrin Sass) conduce una vita come tante nella Berlino-est del 1989. Madre di due figli, misteriosamente abbandonata anni prima dal marito, crede nel sistema socialista che, per quanto neghi all'individuo ogni possibilità di scelta, conferisce alla sua vita senso e certezze. Alla vigilia dell'evento che avrebbe cambiato per sempre il volto della Germania e dell'Europa cade in coma colpita da un infarto. Quando otto mesi dopo si sveglia miracolosamente, tutto è già accaduto e il figlio poco più che ventenne Alex (Daniel Brühl), per evitarle uno shock che potrebbe metterne a repentaglio la vita, decide di nasconderle la verità e di trasformare la stanza dove la madre è immobilizzata a letto in un teatro della finzione, un 'isola felice e pacificata dove un socialismo mai esistito (se non forse nelle aspettative e nelle speranze di molti tedeschi) la protegga dall'invasione della coca cola e di un sistema di regole che ella non sarebbe in grado di comprendere e tanto meno di accettare. La costruzione tragicomica di questo mondo immaginario (con tanto di finti telegiornali e reportage giornalistici montati da un amico con la vocazione del regista) trascina Alex in una commedia dell'assurdo ma, nonostante tutto, il figlio devoto resta convinto che l'unico modo di salvare la madre da morte certa sia quello di trasformare per lei il sogno di Lenin in realtà.
Good Bye Lenin, campione di incassi in Germania, è un film intimamente tedesco; e non perché tedeschi siano il regista, lo sceneggiatore o gli attori, ma perché integralmente saturi dello spirito tedesco sono i personaggi, i luoghi, i colori e perfino i tempi e i movimenti con i quali la macchina da presa penetra tra le vie di Berlino.
Becker, che insieme ai suoi colleghi del "X - Filme Creative Pool" rappresenta ormai una certezza consolidata nel panorama del nuovo cinema tedesco, ha avuto il coraggio e il merito di affrontare la spinosa e tutt'altro che risolta questione della riunificazione senza mai porla in primo piano, come lo sfondo di un paesaggio muto e imprescindibile sul quale, nitidi, si stagliano i personaggi della storia. Chi conosce Berlino e la sua storia recente sa però che quello sfondo, quell'orizzonte atono è carico di simboli che tuttora turbano l'integrità apparente della coscienza tedesca. Dal Palais de la Republique, emblema e feticcio della DDR, che sfuocato fa da controcampo ad un coro patriottico, alle facciate delle Platten Bau (gli inquietanti palazzi senza balconi tipici della Germania Orientale) del quartiere Friederichsheim "rese impure" dai cartelloni pubblicitari, dall'occupazione delle case abbandonate dopo la caduta del muro, alla nascita dei molti club che, agli inizi degli anni novanta, hanno fatto di Berlino la vera avanguardia underground d'Europa e del mondo.
Su questo contesto, che parla di euforia, ma anche di timore e rimozione, insiste una storia divertente e ben costruita nella quale la vicenda inverosimile ma non impossibile di una madre e di un figlio diviene metafora contratta dello 'spaesamento' di un'intera nazione. Il coma di Christiane e il suo risveglio in un mondo artificiale che il figlio ha costruito per lei, così come l'affanno di Alex, impegnato più a proteggere la madre dalla verità che non ad approfittare di un'accelerazione della storia forse irripetibile, ci dicono di una ferita non grave ma persistente che, nonostante i cheeseburger, ancora oggi stenta a guarire.
(Maurizio Marrone)
Sceneggiatura: Wolfgang Becker, Bernd Lichtenberg. Fotografia: Martin Kukula. Musiche: Yann Tiersen. Montaggio: Peter R. Adam. Interpreti: Daniel Bruhl, Katrin Sass, Chulpan Khamatova, Florian Lukas, Maria Simon. Germania, 2003