La prima cosa che colpisce del nuovo film di Muccino è la violenza dei sentimenti dei personaggi. Ambizione, bisogno d'abbandono amoroso, faticosa ricerca di un'identità. Nessuna di queste legittime aspirazioni è condotta perseguendo qualche forma di trattativa o graduale ricerca con le persone e il mondo che ci circonda. Ognuna di esse assume senza mezzi termini il sogno di un riscatto e contribuisce generosamente a trasmetterci l'idea che la vita sia una spaventosa battaglia. Coloro che avevano accusato il finale dell' Ultimo bacio di costruire un' irritante apologia della normalità famigliare, troveranno in Ricordati di me un rovesciamento rabbioso di quell'universo. Sin dalle prime battute del film.
Valentina (Nicoletta Romanoff) ha 18 anni tra tre mesi, sogna di fare la televisione, e "nella vita vuole essere un mito", Paolo (Silvio Muccino) ha 19 anni tra una settimana ed è convinto che nella vita non combinerà mai niente di buono (ed è convinto che anche gli altri lo pensino di lui). I loro genitori, Giulia (Laura Morante) e Carlo (Fabrizio Bentivoglio), sono convinti di essersi castrati a vicenda nei loro sogni e ambizioni: Giulia aveva iniziato a recitare prima di sposarsi, Carlo ha un romanzo mai completato nel cassetto (titolo: 'Quello che resta'). E' una miscela esplosiva la cui miccia è accesa dal regista di fronte ai nostri occhi sin dai titoli di testa. La rassicurante voce fuori campo che ci introduce in questa famiglia, possiede una maliziosa serenità destinata a rendere ancor più vivida l'esplosione dei conflitti in incubazione sotto lo stesso tetto.
Valentina inizia a lottare per un provino da valletta in tv, Carlo rincontra Alessia (Monica Bellucci), una sua vecchia fiamma, Giulia ha l'improvvisa opportunità di ritornare a recitare e Paolo cerca di escogitare un mega party a base di marjuana per conquistare una ragazza che ama. Ma quando Carlo decide di lasciare Giulia per vivere con Alessia, l'intervento traumatico del destino rimescolerà le carte nuovamente. Valentina, andando a letto con un potente conduttore, riuscirà a diventare una valletta (un' 'alina', ovvero la valletta di un quiz dal titolo 'Alì Babà'), Giulia riuscirà a vincere le sue insicurezze e a debuttare, Paolo sopravviverà al mega party e a scordarsi, grazie ad un nuovo incontro, della precedente cotta e Carlo ritornerà in famiglia. Ma il finale del film lascia ampie probabilità anche al suo sogno, Alessia, di rientrare nel dominio della realtà.
I verbi chiave del film sono 'valere' ("Secondo te valgo qualcosa?") e 'vedere' ("Ma tu come mi vedi?"). Le frustrazioni e i conflitti esplodono tra le persone che hanno legami più profondi ("Le persone che ci sono vicine sono le prime a scordarsi del bello che è in noi"), la macchina da presa scivola da un angolo all'altro della scena sospinta dai sussulti di ogni personaggio come la puntina di un grammofono su un vinile aspramente sconnesso. I personaggi maschili sono più dolci e rifiniti (Bentivoglio è nei panni di un sentimentalismo imbarazzato e inerme), quelli femminili più sanguigni e scheggiati, la Bellucci è ad una delle sue prove più sensibili. Almeno fino all'incidente cruciale, Muccino scaglia intreccio e personaggi in un cinema a precipizio che travolge i protagonisti e cattura lo spettatore: una compilation febbrile di canzonette e urla impotenti, immunodeficenza sentimentale ("Se mi tratti come un coglione, io mi ci comporto") e rappresaglie affettive ("Quello che conta siamo noi e i nostri figli").
Dietro la disamina dell'attualità, divertente e disperata, si intravede una ossessione antichissima che appartiene al codice genetico della nostra cultura e del nostro cinema (dal Ferroviere di Germi a Rocco e i suoi fratelli di Visconti): l'unità della famiglia, rifugio e prigione, ring dei rapporti umani sul quale nessuno può evitare di salire e combattere. Quello che resta è dipendenza e frustrazione da cellulare ("Il telefono della persona chiamata, potrebbe essere spento…" ..), il rumore di fondo della tv che ha sostituito quello del mondo, l'onnipresenza di specchi cui chiedere conferme che nessuno può dare, o cui rivolgere una preghiera inutile che non avremmo l'imprudenza di recitare ad una moglie, un fratello, un amico: ricordati di me.
I detrattori di Muccino, sembrano non riuscire ad accettare l'idea che il regista abbia rivitalizzato un cinema capace di rappresentare in movimento una realtà odiosa, alle stesse persone che ne sono attori e responsabili, parlando il loro stesso linguaggio - un talento diffuso nella tradizione del nostro cinema fino agli anni '70. Non gli perdonano di sporcarsi le mani, l'andirivieni di sconcerto e trasporto per una società che contribuiamo tutti a far esistere ma che riteniamo sia sempre responsabilità di qualcun altro. Eppure quel cinema è uno specchio fulmineo e accusare chi lo rivolge verso di noi della insopportabile verità del suo riflesso, è una prestazione di stupefacente infantilismo. E' lo stesso, identico meccanismo, che penalizzava alcuni maestri della commedia del passato. Ci fu a metà degli anni sessanta un critico che accusò di insopportabile volgarità Signore e signori di Germi - una satira al vetriolo della cittadinanza di Treviso, la quale arrivò a minacciare fisicamente gli autori del film - lo stesso critico che, dopo il restauro del film, qualche anno fa, decretò per esso lo statuto di capolavoro. Accadrà lo stesso con Muccino, così come è accaduto con Moretti: dopo Ecce bombo il passaparola dei cinefili aveva messo al bando il suo regista come furbo rappresentante di un cinema per giovani borghesi, abile procacciatore di successo al botteghino. Molti di loro lo venerano oggi come autore.
In ogni caso, se pensate che il cinema debba soltanto divertire il tempo di una barzelletta - aspirazione legittima come qualsiasi altra - ci sono i film di Natale, se pensate che il cinema debba necessariamente essere qualcosa di culturalmente esclusivo, ci sono i film di Hong Kong, quelli del gruppo Dogma, il grande cinema iraniano.
Ma se per voi un film è quella cosa che ci consente di condividere quel turbine di sensazioni profonde, quell'altalena continua di divertimento e ansia, con persone che non conosciamo e che occupano la stessa sala facendoci uscire dal cinema insieme a loro con il sospetto che qualcuno ci abbia parlato di noi senza mezzi termini provocando allo stesso tempo atletico intrattenimento emotivo e domande irrevocabili, Ricordati di me è un film da non perdere.
(Mario Sesti)
Sceneggiatura: Gabriele Muccino, Heidrun Schleef. Fotografia: Marcello Montarsi. Musiche: Paolo Buonvino. Scenografia: Paola Bizzarri. Costumi: Gemma Mascagni. Montaggio: Claudio Di Mauro. Interpreti: Laura Morante, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Muccino, Nicoletta Romanoff, Monica Bellucci. Italia, 2002