Quello di Disney somigliava più ad un villaggio svizzero, quello di Comencini aveva un'aria rurale, dimessa e aspra, da Italia del neorealismo, ma il villaggio in cui Pinocchio viene alla luce nelle prime scene del film di Benigni, non è un vero e proprio villaggio. E' una cittadina con i portoni dei palazzi in pietra, il porfido nelle strade, le persiane alle finestre e le ringhiere ai balconi. Il taglio visivo col quale l'autore-attore entra dentro l'immaginario di Collodi, è netto e originale e segue le indicazioni dello scenografo Danilo Donati (morto durante la lavorazione e al quale il film è dedicato): strappare il mondo del burattino alla finzione hollywoodiana e riportarlo alle sue origini storiche, quelle dell'Italia Umbertina, della provincia borghese e non solo contadina, in cui l'incubo perenne della fame, del freddo e della povertà, si alternano agli spauracchi dei carabinieri, ai decollté della fatina, in un paese sorprendente e interminabile, fatto di piazze, di colline e di mare.
E' il taglio più originale del film. Forse l'unico. L'impressione generale è che Benigni, di fronte ad un oggetto così amato come il burattino più famoso del mondo, cada in una trappola nella quale non avremmo mai pensato di vederlo: la venerazione. Si avventa su Collodi non per interpretarlo ma per illustrarlo.
E' vero: si tratta di un'illustrazione di gran qualità. E alcuni episodi spalancano nuove vertigini ottiche nella favola del burattino. Come per esempio quello del Paese dei Balocchi: una balera metallica che somiglia ad una gigantesca scatola di biscotti di latta, cui rimandano le effigi dipinte su colonne e pareti. Oppure quello della balena, un cetaceo digitale che non ha nulla da invidiare alle creazioni analoghe hollywoodiane. Il film si accende di piccole faville quando l'attore si fa largo nell'opulenza della sua creazione, con la sue risorse mimiche, la sua frenesia motoria, il suo umorismo. La gag più divertente è quella in cui lui e Kim Rossi Stuart, nella parte di Lucignolo, si incontrano con il capo avvolto in un turbante, per nascondersi l'un l'altro l'imbarazzante escrescenza delle orecchie da ciuco. La partecipazione più efficace è quella dei fichi d'India nella parte del Gatto e la Volpe.
(Mario Sesti)
Sceneggiatura: Vincenzo Cerami, Roberto Benigni. Fotografia: Dante Spinotti. Musiche: Nicola Piovani. Scenografia: Danilo Donati. Costumi: Danilo Donati. Montaggio: Simona Paggi. Interpreti: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Carlo Giuffrè, Peppe Barra, Mino Bellei, Alessandro Bergonzoni, Massimiliano Cavallari, Franco Javarone, Bruno Arena, Luis Molteni, Kim Rossi Stuart, Aroldo Tieri, Corrado Pani. Italia, 2001