Un'opera di Chikamatsu con gli abiti griffati di Yohji Yamamoto. Questa potrebbe essere la sintetica definizione di Dolls, l'ultimo, bellissimo film di Takeshi Kitano, ed è una sintesi che gli assomiglia, fra l'antico e il moderno, fra la tradizione e la ricerca, fra la rigidità delle formule e l'apertura dei linguaggi.
Monzaemon Chikamatsu, detto lo Shakespeare giapponese, è, per chi non lo sa, il più grande autore di bunraku, una forma di teatro di marionette che risale al XVI secolo in cui il marionettista è in scena assieme al narratore-cantante e al suonatore di tayu e muove il suo grande pupazzo, dagli abiti ampi e colorati e dal volto bianco e inespressivo, secondo ritmi lenti e studiatissimi.
Yohji Yamamoto, per chi non lo sa, è da vent'anni il più innovativo e raffinato disegnatore di moda giapponese, protagonista fra l'altro del documentario di Wim Wenders Notebook on cities and clothes. E Takeshi Kitano, per chi non lo sa o non ne è ancora convinto, è il più grande regista giapponese di oggi e con questo film sembra voler assumere, anche nei temi e nel respiro del racconto, l'eredità di chi vent'anni fa gli aveva fatto scoprire il cinema come attore, Nagisa Oshima.
Stranamente però "beat" Takeshi qui non si è dato alcuna parte, lui che col suo volto irrigidito sembra una maschera bunraku vivente: forse perché l'unico ruolo adatto a lui, quello di un vecchio boss della yakuza, era un po' limitato (ma ha scelto un attore che gli somiglia), o forse proprio perché, pur non rinunciando a raccontare anche una delle sue classiche storie di malavita violenta e romantica, con questo film ha voluto dare un segno di cambiamento, dimostrare, ancor più esplicitamente che con ognuna delle sue opere precedenti, che non si vuole legare ad alcuna maniera e ad alcun "kitanismo" e che ogni suo nuovo film è un passo avanti, sperimentale e innovativo.
Una delle novità di questo è anche di essere, propriamente, un film a episodi, poiché è composto di tre storie diverse senza alcun rapporto narrativo fra di loro, ma il loro intreccio e la stessa mobilità interna di ogni singolo episodio, ricco di flashback e scene dislocate (e non a caso Kitano firma anche sceneggiatura e montaggio) ne fanno un unico, fluido e trascinante racconto d'amore e morte, che si dipana lungo le quattro stagioni di un anno, da una primavera fiorita di bianchi rami di melo a un inverno sepolto da incredibili quantità di neve. Bianchissima, naturalmente, perché Kitano, che è anche pittore, ha un modo tutto suo di legare scene e personaggi delle sue storie attraverso i colori, o meglio degli oggetti-colore che segnano i suoi film come i sassolini bianchi lungo un sentiero e guidano lo spettatore dove lui vuole. Le tre storie, precedute da un prologo di vero teatro bunraku eseguito dal Teatro Nazionale di Tokyo, sono dunque storie di marionette viventi, di "bambole" elegantemente vestite con abiti di scena assolutamente non realistici, che si muovono nel mondo e nel tempo guidate da una mano materialmente invisibile ma stilisticamente visibilissima.
Tre storie d'amore. Un giovane ha lasciato la sua fidanzata per sposare la figlia del suo capo ma il giorno delle nozze, saputo che lei per disperazione ha tentato il suicidio ed è rimasta menomata, pianta in asso la sposa e la cerimonia, la raggiunge e se la porta via, legandola a sé con una corda rossa, in un vagabondaggio silenzioso fatto di espiazione e speranza.
Un altro giovane era innamorato di una ragazza che gli portava sempre il cartoccio del pranzo su una panchina del parco. Poi l'aveva lasciata per seguire il suo sogno di potere, era diventato un rispettato capo della yakuza ma ora che è vecchio e malato prova a tornare su quella panchina, dove la donna, invecchiata ma con lo stesso vestito di allora, lo sta aspettando.
Una famosa cantante pop ha avuto un grave incidente e si è ritirata nella sua vecchia casa in riva al mare col volto sfigurato, senza volersi far vedere nessuno. Ma il più fedele dei suoi fan riuscirà a trovare il modo di arrivare fino a lei.
Tre storie di morte, anche, o di crudeltà del destino perché hanno tutte un esito tragico o angoscioso. Ma storie intessute di leggerezza, di giovinezza, di tenerezza. Di trovate visive, di folgorazioni, di gag anche. Storie di un vecchio buffone che man mano, con l'età e la saggezza, scopre la profondità e la ricchezza della vita.
(Alberto Farassino)
Sceneggiatura: Takeshi Kitano. Fotografia: Katsumi Yanagijima. Musiche: Joe Hisaishi. Costumi: Yohji Yamamoto. Montaggio: Takeshi Kitano. Interpreti: Miho Kanno, Hidetochi Nishijima, Iatsuya Mihashi, Chieko Matsubara, Kyoko Fukada, Tsutomu Takeshige. Giappone, 2002