"Mi chiamo Charles Hirsch Barris. Ho scritto canzoni pop e sono stato un produttore televisivo. Sono responsabile di aver inquinato l'etere con dell'intrattenimento puerile e intorpidente. Inoltre, ho ucciso trentatré esseri umani".
Così inizia l'autobiografia di Chuck Barris, produttore televisivo entrato nella storia della tv americana degli anni settanta per aver inventato programmi come "The dating game" (da noi "Il gioco delle coppie") e "The Gong Show" (una sorta di "Corrida"), popolarissimi format poi esportati in tutto il mondo.
George Clooney, per il suo esordio dietro la macchina da presa, sceglie di raccontarne l'incredibile storia. Incredibile perché Barris (un bravissimo Sam Rockwell) al suo lavoro negli studi televisivi alternava viaggi nell'Europa dell'est come spia e killer al comando della CIA. Abbordato in un bar da un agente segreto (interpretato dallo stesso Clooney), viene addestrato dai servizi segreti americani e poi spedito in Messico per la sua prima missione. Eccitato dal colore del sangue Barris decide di portare avanti - per anni - una doppia vita: fuori dai riflettori del magico mondo dello spettacolo assume un identità fasulla per uccidere gente sconosciuta per scopi a lui incomprensibili .
Clooney non bara. Nella prima scena vediamo Barris completamente nudo, in preda a isterici sensi di colpa, rievocare la sua vita davanti al televisore da cui proviene la voce di Reagan. Paranoia politica e società dei consumi, intrattenimento popolare e delitti di stato: lo studio tv è un palcoscenico dove davanti alle telecamere va in onda l'allegro massacro di gente pronta a tutto per apparire sullo schermo e dietro le quinte si gestisce la liquidazione della guerra fredda.
Clooney ha avuto l'intuizione straordinaria di capire che la figura di Barris - presentatore televisivo e assassino al soldo del governo degli Stati Uniti - poteva essere la metafora illuminante della modernità: un personaggio che definisce la mutazione politica, sociale e antropologica avvenuta in america tra gli anni settanta e ottanta.
Vincitore dell'Orso d'Argento al Festival di Berlino 2003, il film di Clooney tratteggia il suo protagonista come un volgare donnaiolo, roso dall'ansia di arrivare e dalla fame di successo: l'american dream qui è il delirio di uno psicotico che riesce a conciliare nella sua logorrea il delitto e la tv.
Tra le due cose c'è qualcosa di comune, un dolce legame, un innamorato specchiarsi dell'uno nell'altra. La fotografia satura i colori, la macchina da presa si concede qualche licenza stilistica per conquistarsi la patente di 'autore' (molti sono i debiti con il cinema di Soderbergh, che qui figura come produttore esecutivo), ma Clooney ha il merito di osare un pessimismo radicale, peccato mortale per ogni vero americano. E riesce a raccontare la tragedia di un popolo che rincorre il suo inferno, consapevole che al peccato non corrisponde più nessuna colpa. Come i protagonisti di un eterno Talk Show, ci sarà un premio per ogni delitto e per ogni menzogna.
(Silvia Colombo)
Sceneggiatura: Charlie Kaufman. Fotografia: Newton Thomas Sigel. Musiche: Alex Wurman. Costumi: Renée April. Montaggio: Stephen Mirrione. Interpreti: Sam Rockwell, George Clooney, Drew Barrymore, Julia Roberts, Rutger Hauer. Stati Uniti, 2002. V.M. 14