Quando la famiglia Greenberg parte per una vacanza in Vietnam di sei settimane, la cura della loro villa di Los Angeles e del cane Mahler viene affidata alla giovane Florence Marr, la loro assistente personale. Durante quel periodo, Florence fa la conoscenza di un eccentrico ospite, lo zio Roger, quarantenne irresponsabile che da tempo si è trasferito a New York e ha alle spalle una degenza per cure psichiatriche. Roger viene subito attratto dalle premure e dalla cortesia di Florence e le chiede un appuntamento provando a sedurla. Nel frattempo, tenta di riallacciare rapporti con i vecchi compagni, dalla ex-fidanzata Beth al migliore amico Ivan, con il quale comincia a rievocare il sogno giovanile di diventare famosi come gruppo musicale.
Nel passaggio dalla East alla West Coast, Noah Baumbach pare essere cresciuto. Almeno un po'. Non più interessato all'acrimonia dei rapporti familiari e alle colpe dei padri che ricadono sui figli, stavolta decide di concentrarsi esclusivamente sulle idiosincrasie di un singolo personaggio, sgombrando da subito il campo da ogni possibile equivoco sui complessi per le figure genitoriali (“Se io faccio il carpentiere e mio fratello costruisce alberghi in Vietnam, a chi posso dare la colpa?”, si domanda il protagonista durante una delle sue numerose autoconfessioni). Ciò nonostante, la passione per quei personaggi-sognatori incapaci di adattarsi ai movimenti del mondo e al passare del tempo rimane immutata. Anzi, da questo punto di vista, Roger Greenberg è davvero uno dei personaggi più espressivi e sfaccettati provenienti da quell'universo parallelo indie-pop popolato da intellettuali immaturi, geni precoci e disadattati sociali dal quale attingono sia Baumbach che Wes Anderson. Con la differenza che Baumbach, rispetto al collega e amico, punta su uno stile molto più sobrio e minimalista, intento a cogliere l'essenza più familiare e schietta dell'eccentricità dei suoi personaggi.
A meno di essere lo stesso Baumbach, è difficile identificarsi completamente con un personaggio così avulso da un qualunque contesto, ma il regista newyorkese ha anche l'intelligenza di non prendere posizione, di mostrarne tanto il lato tenero e infantile, quanto il temperamento isterico, verboso, incapace di ascoltare qualcun'altro che non sia se stesso. Grazie ad un ottimo lavoro di scrittura e ad una strepitosa performance da parte di Ben Stiller, Roger Greenberg fuoriesce dal microcosmo bizzarro e piacione della media delle produzioni indie per trovare vita autonoma e riuscire ad intrattenere e innervosire come solo sanno fare i grandi caratteri.
Più che sulla giovane Florence, ripresa da vicino nella sua routine nell'incipit del film, il film gira piacevolmente sempre su di lui, inanellando una serie di episodi e di lunghe conversazioni proprio come una playlist di brani melodici mixati adeguatamente dal proprio Ipod. E alla fine, più che una vera e propria storia o un'evoluzione del protagonista, il film sembra raccontare in modo distratto ma preciso un mondo in cui la forma ideale di comunicazione è attraverso una segreteria telefonica. Un microcosmo narcisista dove dominano i soliloqui e le rievocazioni nostalgiche, ma con la pretesa di avere sempre accanto qualcuno disposto ad ascoltarci.
Titolo originale: Greenber. Sceneggiatura: Noah Baumbach. Scenografia: Ford Wheeler. Fotografia: Harris Sadives. Costumi: Mark Bridges. Musiche: James Murphy. Interpreti: Ben Stiller, Greta Gerwing, Rhys Ifans, Jennifer Jason Leigh. Produttori: Scoptt Rudin e Jennifer Jason Leigh. Distribuzione: BIM. Origine: U.S.A., 2010.