Regia e sceneggiatura: Aki Kaurismäki. Scenografia: Wouter Zoon. Montaggio: Timo Linnasalo. Fotografia: Timo Salminen. Costumi: Fred Cambier.
Interpreti: Jean-Pierre Léaud, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, André Wilms, Elina Salo, Evelyne Didi, Biondin Miguel. Produttore: Aki Kaurismäki, Fabienne Vonier, Reinhard Brundig.
Distribuzione: BIM.
Origine: Francia, Germania, Finlandia, 2011.
Durata: 103’.
Marcel Marx, un lustrascarpe a Le Havre, in Normandia. Un ragazzino, Idrissa, arrivato in Francia clandestino in un container, proveniente dal Gabon, che vuole raggiungere la madre a Londra. Una moglie amata, Arletty, che si scoprirà gravemente malata e verrà ricoverata in ospedale. Una cagnolina, Laika. Un quartiere proletario - tra cui spiccano un fruttivendolo, una panettiera, una barista - unito attorno a Marcel, che vuole aiutare il ragazzo, braccato dalla polizia di frontiera, nonostante la mancanza di soldi e le preoccupazioni personali. Più un commissario di polizia disincantato, dall’apparenza cinica, disposto a seguire le ragioni del cuore.
Il finlandese Aki Kaurismäki compie un piccolo miracolo: in trasferta in Francia, con un cast di volti noti della cinematografia francese (maschere da polar quali Jean-Pierre Léaud, Jean-Pierre Darroussin, André Wilms), imbastisce una fiaba moderna, con un vago sapore retrò che non guasta, a insaporire e a colorare lo squallore e l’indifferenza dell’oggi.
Kaurismäki non rinuncia affatto ai suoi temi cari: il mondo che rappresenta è quello del proletariato - il protagonista, Marcel, lucida le scarpe, è al verde e pieno di debiti, non disdegna la bottiglia e rimpiange un tempo in cui fu bohémien a Parigi - in cui pare non possa accadere nulla di buono e in cui il destino sembra già segnato. Una fotografia mozzafiato, di Timo Salminen, satura di colore, dal gusto surreale e antico, una maniacale cura per i dettagli, un’ironia di superficie che nasconde una desolazione e una malinconia profonde, una stanchezza del vivere, si aprono verso una prospettiva più ottimista, in cui Kaurismäki stempera la sua vena struggente e di denuncia sociale alla possibilità. Di vita, di fare del bene, di riscatto, di speranza.
In un mondo in cui prevale l’indifferenza e in cui i messaggi sono di quotidiano allarme, sapere che qualcuno pensa, senza lacrime e facile romanticismo, che si possa cambiare un destino è già molto.