Regia: Anne Fontaine. Soggetto e sceneggiatura: Anne Fontaine, Nicolas Mercier. Scenografia: Olivier Radot . Montaggio: Luc Barnier, Nelly Ollivault. Fotografia: Jean-Marc Fabre. Musiche: Bruno Coulais. Costumi: Catherine Leterrier, Karen Muller Serreau.
Interpreti: Isabelle Hupper, Benoit Poelvoorde, André Dussollier, Virginie Efira.
Produttore: Francis Boespflug, Philippe Carcassonne.
Distribuzione: BIM.
Origine: Francia, 2011.
Durata: 99'.
Chi ama frequentare la Ville Lumière (tenendosi magari lontano dai percorsi più turistici) sa che il VI arrondissement è l'elegante rifugio della ricca, raffinata (e spesso odiosa) borghesia intellettuale parigina. E' proprio tra le strade di questo blasonato quartiere della Rive Gauche che è ambientato il nuovo film di Anne Fontaine, una corrosiva commedia che fa dell'autoironia (dei personaggi e degli interpreti) la sua stessa ragion d'essere. I protagonisti sono infatti due tipici rappresentanti di questa narcisistica gauche caviar: Agathe (Isabelle Huppert) gestisce una galleria d'arte ed è sposata con François (André Dussollier), un editore. I due sembrano una coppia perfetta, hanno un figlio e conducono una vita agiata e di successo. Poi però succede qualcosa: l'arrivo in casa del rozzo e insolente Patrick (Benoît Poelvoorde), assunto per svolgere dei lavori nel loro appartamento, e l'incontro di François con una giovane e affascinante bionda, sconvolgerà le rispettive esistenze dei due coniugi.
La scena viene ben presto “rubata” dal rapporto che si crea tra Agathe e Patrick, con le prevedibili situazioni comico-grottesche che vengono fuori dal classico contrasto tra due temperamenti estremamente rigidi e agli antipodi. A reggere il ritmo (molto sostenuto) e i dialoghi scoppiettanti del film è lo straordinario gioco attoriale imbastito dall'inedita coppia Huppert/Poelvoorde, dalla piccante ironia con cui si divertono a prendersi in giro e alla divertente disinvoltura con cui demoliscono la sensualità glaciale di lei e l'ingenuità mascalzona di lui. Probabilmente questo film piacerà molto a chi ha apprezzato un altro film francese uscito di recente, il campione d'incassi «Quasi amici» di Olivier Nakache e Éric Toledano. Non solo perché, come «Il mio miglior incubo!», si sviluppa sull'inaspettato incontro tra due “tipi sociali” completamente opposti (un aristocratico paraplegico e un ragazzone della banlieu), ma perché le due pellicole hanno in comune una certa idea di commedia, sempre più frequente nel cinema francese contemporaneo.
Nella patria dei cinéphiles e della politique des auteurs stiamo ormai assistendo da un po' di anni a un progressivo avvicinamento tra i temi del cinema d'autore e quelli del cinema più popolare e ciò sta avvenendo nel genere che più si presta all'ibridazione tra modelli, come la commedia. Se due mostri sacri del cinema francese più intellettuale come Huppert e Dussollier decidono senza alcun problema di dividere la scena con un comico come Poelvoorde è il segnale che si stanno percorrendo nuove strade. E' un fatto da salutare positivamente, perché consente al grande pubblico di potersi gustare film divertenti che non evitano però di affrontare i seri problemi di tutti i giorni. Una volta anche in Italia era così. Ma questa è tutta un'altra storia.