Regia e sceneggiatura: Gianni Amelio. Scenografia: Arnaud De Moleron. Costumi: Patricia Colin
Montaggio: Carlo Simeoni. Musiche: Franco Piersanti. Fotografia: Yves Cape.
Interpreti: Maya Sansa, Jacques Gamblin, Denis Podalydès, Régis Romele, Catherine Sola, Christophe Dimitri Réveille, Elsa Levy, Nacim Ben Younes, Jean Benoit Souilh, Laurence Lafiteau
Produzione: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini.
Distribuzione: 01 Distribution.
Italia, 2011, 98’
Tra i rottami dell’auto sulla quale Albert Camus trovò la morte il 4 gennaio 1960, fu rinvenuto un manoscritto con correzioni, varianti e cancellature: la stesura originaria e incompiuta de Il primo uomo, sulla quale la figlia Catherine, dopo un meticoloso lavoro filologico, ricostruì il testo pubblicato nel 1994. Una narrazione forte, commovente e autobiografica, che molto ci dice del suo autore, della sua formazione e del suo pensiero. Attraverso le impressioni e le emozioni del protagonista che torna in Algeria per incontrare chi l’aveva conosciuto, Camus ripercorre parte della propria vita: l’infanzia povera, le amicizie, le tradizioni, i sogni, dai quali emerge la figura di un uomo ideale, quel “primo uomo” che forse potrebbe essere in ciascuno di noi.
“Il titolo - ha dichiarato Gianni Amelio - allude ad un ‘primo essere’ che in qualche modo è libero e padrone di se stesso. Un essere umano libero di contrastare quello che la storia ti dà come dono e, talora, come condanna. Spesso, infatti, gli eventi ti obbligano a vivere qualcosa di cui non sei responsabile.""Non ho mai pensare a un confronto, che sarebbe stato impossibile - continua Amelio - il regista deve considerare il libro a cui si ispira uno stimolo e non un tema da illustrare, ma questa volta era diverso, questo non è un romanzo di finzione bensì un’opera autobiografica. Credo sia un libro politico, cioè urgente e profondo, un libro “necessario” nel momento in cui è stato scritto, e non solo, l’intervento potente di un grande scrittore sulla tragedia del proprio Paese e del proprio tempo, la confessione che sgombra il campo da ogni sospetto di reticenza e di ambiguità rispetto alla guerra di liberazione algerina, di cui Camus ha faticato a liberarsi. Io ho voluto che diventasse anche la mia storia non per presunzione ma per umiltà. Ho fatto questo film per un atto d’amore".