Il breve intreccio di strade di un popolare quartiere parigino annovera vie che hanno il sapore delle favole: Rue Bleue, Rue de Paradis. Il quartiere dove abita l’adolescente Mose detto Momo, è pieno di vita e di luce, percorso da un’animazione popolare colorita e gaia, proprio l’opposto dell’appartamento in cui Momo vive con un padre sprofondato in una silenziosa e fosca depressione, perennemente immerso nella penombra, eccettuato per il cono di luce serale che avvolge l’avvocato “senza affari e senza moglie”, intento a leggere uno dei ponderosi volumi dell’austera biblioteca. Le sole occasioni di dialogo tra padre e figlio riguardano un’economia domestica in cronica penuria e i rimproveri a Momo che non nascondono il sospetto che il ragazzo faccia “la cresta” sulla spesa. Nonostante l’atmosfera pesante di una casa dalla quale l’amore sembra fuggito per sempre, Momo è un ragazzo dallo spirito aperto e curioso. Il piccolo mondo in cui vive del resto non lesina piacevoli sorprese come il droghiere dagli occhi color pistacchio, Il signor Ibrahim, l’unico arabo in una via “ebrea”, titolare della drogheria dove Momo si reca a fare la spesa quotidiana e non esita ogni tanto a sgraffignare qualche scatoletta di conserva…”E’ solo un arabo, dopo tutto!” pensa Momo, e, con suo grande stupore, il vecchio Ibrahim sembra leggergli nel pensiero: “Non sono arabo, vengo dalla Mezzaluna d’Oro”. Così comincia la storia d’amicizia, intessuta di ironia, smaliziato ed effervescente umorismo, candore e profonda saggezza, momenti di tristezza alternati a un’ebbrezza frizzante e liberatoria, del ragazzo ebreo e dell’anziano “arabo” nell’incanto di un angolo di mondo dove, come portata da un sogno, compare addirittura Brigitte Bardot che assomiglia tanto alla gattina dei vicini e come lei sembra vivere e respirare soltanto per suscitare ammirazione. La Bardot entra perfino nel negozio di Ibrahim il quale eccezionalmente si alza dal suo sgabello. “Signor Ibrahim, chiede poi Momo, immagini di essere in una barca con Brigitte Bardot e sua moglie. La barca affonda, lei cosa fa?” “Scommetto che mia moglie sa nuotare” E’ la lapidaria risposta seguita da una risata a gola spiegata. Ma Ibrahim non è soltanto un sorprendente e affettuoso amico per il goffo e infelice Momo, è anche una fonte continua di scoperte, quale è la fondamentale arma del sorriso capace di mutare magicamente le situazioni più spiacevoli, e infine la risorsa decisiva e la speranza inattesa nel momento della tragedia, quando il padre di Momo sceglie di abbandonare il figlio e con esso anche la vita stessa. Come in una favola o un apologo che non pretende di dar lezioni morali ma soltanto proporre un sogno da decifrare e che interroga con il suo magico e candido incanto, i due protagonisti si incamminano insieme come padre e figlio verso il grande mondo, scoprono la maestosa bellezza di Parigi, acquistano un’auto che nessuno dei due sa guidare ma infine percorrono le strade di tutta Europa, poi volgono il cammino verso Oriente, l’Albania, la Grecia dove c’è odore di felicità, e infine Istanbul e ancora oltre , verso una libertà che li fa inerpicare verso l’alto. “Di fronte a noi è stata messa una scala per evadere dice Ibrahim prima di giungere alla sua meta definitiva mentre il sole scivola tra le montagne e “il papà” fissa la stella della sera. Mosè resterà solo alla fine ma avrà avuto in dono un tesoro di saggezza e l’arte di sorridere.
Regia: Francois Dupeyron. Fotografia: Remy Chevrin. Scenografia: Katia Wyszkop.
Montaggio: Dominique Faysse.
Costumi: Catherine Bouchard.
Interpreti: Omar Sharif, Pierre Boulanger, Gilbert Melki e Isabelle Renauld.
Francia, 2003, 94''