Regia: Ben Affleck. Sceneggiatura: Chris Terrio. Scenografia: Sharon Seymour. Montaggio: William Goldenberg. Fotografia: Rodrigo Prieto. Musiche: Alexandre Desplat. Costumi: Jacqueline West.
Interpreti: Ben Affleck, Bryan Cranston, John Goodman, Taylor Schilling, Kyle Chandler, Alain Arkin, Victor Garber, Titus Welliver, Clea DuVall, Tate Donovan.
Produttore: Grant Heslov, Ben Affleck, George Clooney
Distribuzione: Warner Bros.
Origine: USA, 2012.
Durata: 120'.
Thriller politico dotato di turbante tasso di suspense hitchockiana e abilmente calibrato tra il dramma realistico e lo show autoironico su e della Hollywoodland, Argo segna un passaggio cruciale nella carriera registica di Ben Affleck.
La storia, vera, è quella di Tony Mendez, per il quale il regista si è ritagliato il ruolo (azzeccato) da protagonista, agente della CIA che nel 1979 fronteggia la crisi di sei ostaggi americani a Teheran.
Il gruppo di diplomatici si è rifugiato nella residenza dell’ambasciatore canadese dopo essere scampato all’assalto alla Roosevelt Gate dell’ambasciata statunitense da parte dei militanti rivoluzionari iraniani, che manifestano contro il sostegno degli Stati Uniti allo scià Mohammad Reza Pahlavi. Mendez sfiderà come in una tragedia greca il destino, e la perplessità di chi gli ha affidato l’incarico, studiando e organizzando un piano che porti in salvo i propri connazionali: fingere che facciano parte di una troupe cinematografica in Iran per girare l’ennesimo sci-fi trash d’ambientazione esotica. Diviso tra la crescente ansia e gigantesca responsabilità della sua missione, suggerita dalla passione del figlio lontano per la fantascienza, e l’autoironia al vetriolo dei suoi cinici aiutanti, un truccatore e un produttore di Los Angeles, lo strategico duo John Goodman-Alan Arkin, il capitano di una nave difficile da guidare tenterà di salpare dal più pericoloso e pauroso dei mari.
Con l’obiettivo di rimanere fedele alla storia e di non realizzare un’opera facilmente soggetta a quel processo mediatico che politicizza per principio, il talentuoso e intelligente Affleck gira un film profondamente conservatore, quasi propagandistico se si pensa alla difesa indiscussa del democratico Jimmy Carter, accennata dalla meravigliosa sequenza iniziale a fumetto, e lo conclude adottando una soluzione patriottica: il suo messianico eroe, insabbiato nel tempo fino alla declassificazione di Clinton negli anni ‘90, torna a casa sospirando. Fuori sventola un’immancabile bandiera a stelle e strisce. Dentro avviene il sofferto recupero familiare, poeticamente sigillato da un abbraccio paterno. Ma è un’altra la sequenza, quasi istantanea, che reintegra il sottile equilibrio inseguito dal film, quella in cui Sahar, iraniana, dopo aver tradito il proprio popolo per l’ambasciatore canadese è costretta a rifugiarsi in Iraq, senza enne.
Affleck evita la ritrita demonizzazione mediorientale e tratta la sua storia problematica tenendo nella giusta considerazione le tensioni degli Stati Uniti e l’estremismo islamico, che esplode minaccioso perfino durante un sopralluogo a un bazar, ma si argina nella finzione di un film.