PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 60^ MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2003.
Pur non essendoci una verità definitiva e storica sulla tragedia di Aldo Moro, Marco Bellocchio, in modo assai personale e nella completa libertà dell'autore, coraggiosamente affronta quei due mesi di carcerazione che cambiarono la vita di una giovane ed immatura Repubblica. Va riconosciuta subito in questa attitudine meta-storica del Bellocchio autore, più che del Bellocchio regista, una qualità superiore, più intelligente ed emozionale, di raccontare e, più in profondità, più analiticamente, di incontrare lo statista, i brigatisti, il tempo delle ideologie utopiche rivoluzionarie e proletarie all'alba del loro fallimento totale. Al di là, dunque, del documento che fa la storia, della memoria che la nutre, della testimonianza che la avvalora, sono contenuti ed interpretazione che fanno di Buongiorno, notte un'opera pregevole di "interpretazione" cinematografica del passato prossimo. Senza seguire modelli predefiniti ed impegnarsi in pretestuose impostazioni manualistiche, ben venga "l'ipotesi" per provocare la "tesi". E quest'ultima risiede nel mistero di un rapimento, nel cuore di Moro, nella testa dei suoi carcerieri. Senza certezze preventive, ma con un oceano di dubbi che affiorano anche nelle esperienze vissute da Chiara (Maya Sansa), giovane terrorista, Bellocchio non teorizza ma propone la condanna di una stagione infame di morte e violenze, affiancate, non solo visivamente, a quelle della stagione fascista o legate alla dittatura staliniana. Aldo Moro - lui invece contrapposto ad altri volti troppo conosciuti ed ancora ambigui nella valutazione del loro comportamento politico - diventa figura possente (anche attraverso la bella interpretazione di Roberto Herlitzka) e di inossidabile statura morale. La "tesi" di condanna che lui propone dialogando, anziché impugnando una pistola, alle farneticanti suggestioni rivoluzionarie dei brigatisti, diventa un testamento di rettitudine ideologica, purezza politica, testimonianza cristiana. E mentre Paolo VI piegava le ginocchia e pregava per la sua libertà, preparandosi ad affrontare nuove ed inaspettate sofferenze prima di spegnersi a Castelgandolfo nell'agosto del 1978, Moro accettava con paura il sacrificio, i suoi carcerieri la sconfitta, e Bellocchio, venticinque anni più tardi, poteva così affrontare una delle sue sfide artistiche più interessanti e riuscite.
(Luca Pellegini)
Regia: Marco Bellocchio. Sceneggiatura: Marco Bellocchio. Fotografia: Pasquale Mari. Montaggio: Francesca Calvelli. Costumi: Sergio Ballo. Scenografia: Marco Dentici. Musiche originali: Riccardo Giagni. Interpreti: Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Roberto Herlitzka, Paolo Briguglia, Piergiorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Giulio Stefano Bosetti. Italia, 2003.