Regia: Claudio Givannesi. Sceneggiatura: Claudio Giovannesi, Filippo Gravino. Montaggio: Giuseppe Trepiccione . Fotografia: Daniele Ciprì. Musiche: Claudio Giovannesi, Andrea Moscianese. Costumi: Medile Siaulytyte.
Interpreti: Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti, Adrian Cesare, Hosny Sarhan, Fatima Mouhaseb, Yamina Kacemi, Salah Ramadan, Marco Conidi, Alessandra Roca, Elisa Geroni, Roberto D’Avenia.
Produttore: Fabrizio Mosca
Distribuzione: BIM Film
Origine: Italia, 2012.
Durata: 100'.
In concorso alla 7° edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, è una storia toccante, commovente e delicata con vene di lirismo che richiamano alla memoria i versi del poeta, giornalista, regista, sceneggiatore, attore, paroliere e scrittore Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975) cui è appunto ispirato il film. Il vate italiano, infatti, nella poesia "Profezia" del 1964 racconta le vicende del mondo contemporaneo, l’avvento di una società multiculturale e lo fa con sicurezza e lucidità. Sono questi gli elementi, è questo lo spirito che Giovannesi cerca di cogliere e far suo in questo lungometraggio, anche se in parte se ne discosta evitando descrizioni con forti accenti estetici, anzi cerca il realismo più crudo, ispirandosi al vissuto dello stesso protagonista e dei suoi amici. Come ha spiegato lo stesso Nader Sarhan: "C'é molto della mia realtà in questo film. Da ragazzo portavo davvero le lenti a contatto azzurre e questo, per sembrare italiano. Oggi invece sono fiero di essere egiziano. […] Mia madre è contraria al fatto che io stia con una italiana ed io, allo stesso tempo, non accetto che mia sorella stia con un italiano. In questo sono arabo". Attraverso le fotografie di Daniele Ciprì, il regista cerca di catturare la realtà e le sensazioni e così rinuncia alla luce artificiale e alle accortezze scenografiche per mostrare la "crudezza" del mondo che circonda questo giovane, che si ribella ai genitori e cerca di mediare fra due culture, quella italiana e quella araba. Sono raccontati sette giorni della sua vita, dalla scuola frequentata da molti figli di immigrati ad Ostia ai locali dove i ragazzi vanno per marinare lo studio, ma proprio in uno di questi vagabondaggi Alì si trova coinvolto in un qualcosa ben più grande di lui. Vuole affermare se stesso, dimostrare di essere già grande e capace di scegliere la propria vita, ma non si rende conto di come questo suo atto di ribellione lo stia portando verso un baratro oscuro fatto di delinquenza e di solitudine. Alì accetta solo in parte la sua cultura egiziana, la sua religione musulmana e cerca di contrastare gli ordini, i precetti familiari e culturali e lo fa portando delle lenti azzurre in modo da potersi vedere più italiano.
L’incanto però dura poco e l’amore per una ragazza italiana scatena in lui un contrasto violento, diventa una voce che grida contro il mondo la sua disperazione, ma è un grido inconscio e sordo, non riesce a rendersi conto ancora di cosa comportano le sue azioni e dunque si perde, sgretolandosi lentamente, così come lo stesso film, che nella sua parte finale sembra disintegrarsi totalmente. "Alì ha gli occhi azzurri" si trasforma in un viaggio di formazione alla ricerca di se stessi, un’avventura che dura sette giorni che denuncia, anche se sommessamente, la crisi di valori e lo smarrimento dovuto non solo all’adolescenza, ma soprattutto allo scontro fra generazioni e culture diverse.