Regia e sceneggiatura: Stephen Chbosky Musiche: Michael Brook. Costumi: David C. Robinson. Scenografia: Inbal Weinberg. Montaggio: Mary Jo Markey. Fotografia: Andrew Dunn.
Interpreti: Emma Watson, Paul Rudd, Logan Lerman, Nina Dobrev, Kate Walsh, Ezra Miller, Joan Cusack, Mae Whitman, Melanie Lynskey, Dylan McDermott, Johnny Simmons.
Produttore: Lianne Halfon, Russell Smith, John Malkovich.
Distribuzione: M2Pictures.
Origine: USA, 2012. Durata: 103'.
Quali possono mai essere i vantaggi di un adolescente sfigato, bistrattato, isolato da tutti i coetanei? Di essere un "ragazzo da parete", uno di quelli che alle feste resta tutta la sera da solo appoggiato al muro? Chbosky porta sullo schermo un tema antico, sempre snobbato dalla letteratura e dal cinema colto, e spesso rovinato e banalizzato dall’arte commerciale. Dopo quattordici anni dall’uscita del suo libro – tra i più famosi e contestati negli States – porta sul grande schermo la sua storia sull’adolescenza.
Adolescenza amara, vivida, emozionale e violenta. Adolescenza traumatica, spaventosa e straripante. Il regista, soggettista e sceneggiatore ci trascina nella mente di un ragazzo confuso dalla novità dolorosa del liceo e del giudizio lacerante dei coetanei; lo seguiamo passo dopo passo nelle scoperte quotidiane: l’eros, la droga, la sessualità, i traumi infantili che fanno crudelmente capolino. Assistiamo divertiti agli impacciati tentativi di un ragazzo a mostrarsi degno di affetto. Che accetta l’amore che crede di meritare.
Si può felicemente notare con quanta cura il regista accompagni la sua opera che si riversa in immagini. La sua regia non si limita ad osservare e raccontare ma partecipa attivamente degli stravolgimenti di Charlie, accennando a temi che rimangono vaghe eco di quello che prima era storia di un libro: il suo rapporto con la droga, i suoi mancamenti, i momenti di viva eccitazione. Si percepisce un accompagnamento affettivo della regia che sfiora più volte il sentimentalismo – senza caderci mai – da cui si può azzardare anche un coinvolgimento autobiografico del regista. Grazie anche all’ottima interpretazione dei tre interpreti, Chbosky tratteggia i suoi protagonisti con grande veridicità e riesce ad avvicinarli al nostro immaginario adolescenziale. Il film riesce a toccare le corde dell’emotività timorosa propria della nostra adolescenza; certo colpisce il terrore tutto americano delle matricole dell’upper school, ma per il resto, i sentimenti sono internazionali. Le parole con cui si chiude il film sottolineano questa sensazione: "Questi momenti non sono storie. Accadono davvero. Sai di non essere una storia triste. Sei vivo." E la voce di Bowie sembra accompagnare i tre amici nella loro corsa a braccia spiegate dentro un tunnel. You can be hero, just for one day.
Quali sono allora i vantaggi di essere un ragazzo da parete? Ce lo suggeriscono tutti i titoli citati, libri, film o canzoni; ce lo dice Charlie nelle sue parole di commiato; lo urlano i protagonisti nelle loro lotte; lo grida anche un ragazzo con un trauma che si trascina dall’infanzia: nelle enormi misure dell’emotività adolescenziale, trovi la vita nell’indelebile novità dei singoli momenti che sembrano divenire infinito. Banale ma vero.