Regia: Roger Michell Sceneggiatura: Richard Nelson. Musiche: Jeremy Sams. Costumi: Dinah Collin. Scenografia: Simon Bowles. Montaggio: Nicolas Gaster. Fotografia: Lol Crawley.
Interpreti: Bill Murray, Laura Linney, Samuel West, Olivia Colman, Elizabeth Marvel, Olivia Williams, Elizabeth Wilson, Eleanor Bron.
Produttore: Kevin Loader, Roger Michell, David Aukin.
Distribuzione: BIM Film.
Origine: Regno Unito, 2012. Durata: 94'.
Siamo nel Giugno del 1939, all’alba di una delle pagine più oscure e controverse della storia dell’umanità. Quella Seconda Guerra Mondiale che contribuì a ridefinire pressoché ogni cosa, non solo l’assetto politico e territoriale del globo (e del Vecchio Continente, soprattutto). A Royal Weekend ci porta nelle stanze di quello stravagante fine settimana, quando un Re ed un Presidente s’incontrarono per la prima volta al fine di discutere cosa ne sarebbe stato della vita di milioni di persone di lì a poco.
Favolistico o meno, questo è l’incipit del film. Un affresco a dire il vero pacato, leggero e per certi aspetti americano nei toni che va assumendo sequenza dopo sequenza. Quanto trasposto su questa pellicola ritrae l’incontro/scontro tra due mondi, che probabilmente mai come in quel singolo ed apparentemente banale episodio si sono sentiti così lontani eppure così vicini.
Perché A Royal Weekend non può esimersi dal far politica indiretta, seppure non rientri tra le sue più immediate prerogative. In realtà davanti ci sono persone, uomini e donne, che nel film, come nella realtà, sembrano così palesemente recitare un copione già scritto. Agiti o meno che siano stati (da qualcuno o da qualcosa) questi individui, Michell e Nelson (rispettivamente, regista e sceneggiatore) cercano in qualche modo di accostare tali personaggi ad un’ordinarietà che sembrerebbe non appartenergli, salvo poi constatare l’ovvio, ossia che anche a quei livelli capita di ingurgitare hot dog.
Una fissa quella degli hot dog. La Regina Elisabetta è sconcertata alla sola idea di essere ricevuta in tal modo ad una visita ufficiale, peraltro così delicata. “Sarebbe come ricevere il Primo Ministro offrendogli delle salsicce“, dirà più o meno. Nella sua fobia per quella che all’epoca si era già imposta come una delle pietanze tipiche dei giovani Stati Uniti, si manifesta il disagio di una cultura a cui l’educazione del pargolo è sfuggita clamorosamente di mano.
In maniera a dire il vero sobria ma altrettanto efficace - pure un po’ giocherellona, se vogliamo - Michell si diverte a tratteggiare quasi da subito i profili dei suoi personaggi. Comprensibile la disparità di trattamento tra il presidente Roosevelt ed i reali d’Inghilterra, quest’ultimi sottoposti ad una raffigurazione velatamente canzonatoria, intrisa di un sarcasmo che oltremanica potrebbero non trovare poi così divertente. Eppure, inconsciamente, tale impronta lascia affiorare le differenze principali tra queste due culture, laddove alla rigida compostezza e ingessatura degli ospiti, viene opposta un’intraprendenza ed un’apparente noncuranza tipica da americano easy e compagnone.