Regia: Calin Peter Netzer Sceneggiatura: Razvan Radulescu, Calin Peter Netzer. Scenografia: Malina Ionescu. Montaggio: Cristian Tarnoetchi. Fotografia: Andrei Butica. Musiche: Dana Lucretia Bunescu. Costumi: Irina Marinescu.
Interpreti: Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Florin Zamfirescu, Natasa Raab, Llinca Goia, Vlad Ivanov, Mimi Branescu, Adrian Titieni.
Produttore: Calin Peter Netzer, Ada Solomon.
Distribuzione: Teodora Film. Origine: Romania, 2013.
Durata: 112'.
Vincitore Orso d’Oro Miglior Film al Festival di Berlino 2013
Siamo a Bucarest, e Cornelia, donna facoltosa dall’aria signorile, discute con trasporto circa il tradimento del proprio uomo. Trattasi sì di un tradimento, solo che l’uomo in questione altri non è che suo figlio: distante, pressoché assente, Cornelia non riesce a trattenere lo sgomento e lo sconforto per un figlio che non fa altro che punirla costantemente a suon di male parole e maledizioni.
Sulle note di Nino D’Angelo e Gianna Nannini, si consuma quel rito di facciata che è la festa di compleanno di Cornelia, alla quale, come in quei non più recenti romanzi che descrivono situazioni analoghe, gli intervenuti si danno più per convenzione che altro; per la festeggiata altro non è che un dovere verso i «parigrado», ai quali si debbono costanti ed ineludibili conferme.
Finché non arriva la mazzata: il figlio di cui sopra, Barbu, resta coinvolto in un tragico incidente; quest’ultimo rimane illeso, ma a farne le spese è un ragazzino di quattordici anni, che muore investito dall’auto sparata in corsa dal figlio di Cornelia. È qui che Netzer comincia a lavorarsi la storia, dando gradualmente vita e risalto ad un contesto di cui non ci resta che prendere atto. Da donna a suo modo di potere, Cornelia cede sempre più al ruolo di madre: la vediamo scomodare per telefono, già lungo il tragitto che la conduce al distretto di polizia, chiunque possa aiutarla a sottrarre il figlio dalle grinfie dei due ufficiali, che lo incalzano nel tentativo coglierlo in fallo.
Di tutta prima viene delineato uno scenario alquanto usuale, ossia la classica famiglia abbiente e ammanicata che cerca di svincolarsi dalle maglie della legge pur trovandosi in palese difetto. Impossibile o quasi l’empatia con i due protagonisti, madre e figlio, in un simile contesto. Ma tutto procede e vale la pena assistere all’evoluzione di questa nefasta vicenda, mentre i problemi sorti con l’esterno acuiscono e quindi riportano a galla tutte quelle dinamiche interne che hanno letteralmente rovinato la famiglia Kerenes.
Non manca un certo grado di ambiguità, sottile ma percepibile, che tende a mandarci a più riprese fuori strada. Ma è il malessere stesso, che serpeggia nei rapporti tra Barbu ed i suoi genitori, a farsi sfuggente, mai abbastanza inquadrato. Lo stesso figlio appare molto schivo a riguardo, tanto da lasciarci col dubbio: avrà lui realizzato ciò che lo tormenta? Cornelia, dal canto suo, a tratti sembra darci l’idea di conoscere cosa si celi dietro tale, estrema diffidenza, salvo mostrarsi inadeguata quanto noi in altrettante situazioni. Questa scia di equivoci ed incomprensioni aleggia quindi per tutto il film, senza mai trovar pace, nemmeno alla fine.