Regia: François Ozon
Sceneggiatura: François Ozon e Marina de Van (da una pièce di Robert Thomas)
Fotografia: Jeanne Lapoirie
Scenografia: Arnaud de Moleron
Costumi: Pascaline Chavanne
Musica: Krishna Levy
Montaggio: Laurence Bawedin
Prodotto da: Olivier Delbosc, Marc Missonier
(Francia, 2002)
Durata: 103'
Distribuzione cinematografica: BIM
PERSONAGGI E INTERPRETI
Mamy: Danielle Darrieux
Gaby: Catherine Deneuve
Pierrette: Fanny Ardant
Augustine: Isabelle Huppert
Catherine: Ludivine Sagnier
Suzon: Virginie Ledoyen
Louise: Emmanuelle Beart
Ma.me Chanel: Firmine Richard
C'è un momento in Gocce d'acqua su pietre roventi in cui
tutti i personaggi del film, rivolti verso lo spettatore,
cominciano a ballare e cantare al ritmo di un allegro samba
tedesco. Francois Ozon, sofisticato ed eccentrico figlio della
più recente cinematografia francese, parte proprio da quella
scena del suo terzo film per approfondire con Otto donne (il
quinto) la sua riflessione sulle dinamiche di potere e i territori
insidiosi della sessualità. Lo fa con leggerezza e charme,
com'è abituato. Accentuando la funzione dialetticamente attiva
di una manciata di canzoni d'amore e solitudine. Se in Gocce
d'acqua, tratto da una piece giovanile di R. W. Fassbinder,
c'era l'omosessualità maschile in atmosfera anni '70, qui, in 8
donne, appare l'omosessualità femminile calata nei favolosi
Fifties. Anni Cinquanta in finto technicolor racchiusi nel
mistero di quattro mura domestiche e affidati al compiaciuto
divismo di 4 + 4 regine iconiche schierate sulla lucida
scacchiera di un cinema francese che rifà Hollywood.
Isolate dalla neve in una casa di campagna, una madre, due
figlie, due nipoti, due domestiche e un'ottava incomoda si
attribuiscono l'un l'altra la responsabilità dell'accoltellamento
dell'unico uomo di famiglia. Tutte hanno un movente. Nessuna
è innocente. Otto donne e un mistero è un noir-karaoke che
incarna divertito numerosi generi e sottogeneri.
Innanzitutto il giallo, quello per intenderci da delitto in una
stanza chiusa a chiave, alla Agatha Christie, alla Poirot. Ma il
ragazzaccio Ozon prende le distanze dal maestro Chabrol e
smonta Hitchcock, sfumando di ironia il nero del plot. Lo fa
attraverso un'accumulazione di elementi (la continua
ricostruzione del delitto, il susseguirsi di colpi di scena
semicomici) e di citazioni che ricordano riuscite parodie
statunitensi, genere Signori il delitto è servito.
C'è quindi il musical, esplicitato nei "numeri" interpretati dalle
attrici: otto canzoni del repertorio popolare d'oltralpe
riarrangiate per l'occasione. Una parte integrante della
costruzione drammatica ed espressiva del film, veri e propri
monologhi in cui le protagoniste rivelano se stesse, si
raccontano. L'idea era già stata di Alain Resnais, che con
Parole parole parole... aveva sostituito i dialoghi con
canzoni assai note in playback. Ma ad Ozon non bastava e
tutte le attrici di Otto donne si sono cimentate in una reale
interpretazione, cantando e ballando. E così ascoltiamo Fanny
Ardant gorgheggiare "a che serve vivere liberi se si vive senza
amore?"
Infine c'è il melodramma stilizzato anni Cinquanta alla Douglas
Sirk (adorato da Fassbinder). E non è un caso che
contemporaneamente l'americano Todd Haynes abbia girato
Far From Heaven (proiettato a Venezia), esplicito omaggio al
regista di Magnifica ossessione. Tinte vivaci e gusto
dell'eccesso, Otto donne ispira ogni suo personaggio ad un
film prodotto dagli studios americani in quel periodo: Lo
Specchio della vita di Sirk, Madame X di Lowell Rich, La
contessa scalza di Huston, Spettacolo di varietà di
Minnelli, eccetera. Ad ogni attrice è assegnato un colore che
la caratterizza, dal verde speranza della giovanissima Ludivine
Saigner al rosso peccaminoso della Ardant.
In questo crossover di generi, attraversato dalle tematiche
moderne, scopriamo, facendo un passo indietro, che Ozon
intendeva girare un remake francese di Donne di George
Cukor (1939), ma ha scoperto che i diritti sono stati acquistati
da Julia Roberts e Meg Ryan. Il regista si è poi imbattuto in
una commedia gialla degli anni Sessanta scritta da un
misconosciuto Robert Thomas, 'Otto donne' appunto.
Soprattutto ci sono le attrici, da citare una per una: Catherine
Deneuve (una bellezza sontuosa dall'espressione
perennemente schifata - colpa del lifting); Isabelle Huppert (un
mostro di bravura, di una bellezza trascesa); Emanuelle Béart
(di una bellezza che non lascia scampo); Fanny Ardant (di
una bellezza appagante); Virginie Ledoyen (di una bellezza
composta); Ludivine Sagnier (di una bellezza freschissima);
Danielle Darrieux (di una bellezza impreziosita dal tempo);
Firmine Richard (di una grazia opulenta). Le prime quattro
sono delle star assolute che Ozon si è divertito a
iperbolizzare, la quinta e la sesta giovani attrici in ascesa, la
settima un'anziana diva che ha vissuto il cinema di Ophuls,
l'ultima una grande comprimaria di pelle nera. Deneuve senza
scrupoli e Ardant dark lady sono state messe a confronto in
un match che si conclude in un appassionato bacio lesbico,
mentre Béart, governante con improbabili corpetto nero e
tacchi a spillo, si esibisce in una lezione di fascino in rima
baciata. Ma quella che sembra essersi divertita di più è la
Huppert, acida zitella che si trasforma in una sorta di
Gilda/Rita Heyworth e cita se stessa suonando il piano. In un
gioco di identificazioni reciproche ("Sono una borghese
mancata come lei è una puttana mancata" dice la serva Béart
alla padrona Deneuve) Ozon chiede loro di dimostrare che
razza di trappola per topi possa essere la famiglia.
E l'uomo, dov'è? Non c'è, o meglio traspare, fa capolino, è
visto di spalle, come una comparsa. Un uomo tradito,
ingannato, disertato, rinnegato. Martirizzato da 8 donne.
(Camillo De Marco)