Regia: Scott McGehee, David Siegel. Sceneggiatura: Nancy Doyne, Carroll Cartwright. Scenografia: Kelly McGehee. Montaggio: Madeleine Gavin. Fotografia: Giles Nuttgens. Musiche: Nick Urata. Costumi: Stacey Battat. Interpreti: Julianne Moore, Steve Coogan, Alexander Skarsgard, Joanna Vanderham, Onata Aprile, Sadie Rae, Jesse Stone Spadaccini, Diana Garcia, Amelia Campbell. Produttore: William Teitler. Distribuzione: Teodora. Origine: U.S.A., 2012. Durata: 93'
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Susanna è una madre disorganizzata e una rockstar non più giovane, impegnata a non uscire di scena. Beale è un papà in viaggio d'affari, che ha messo il lavoro davanti a tutto il resto. Maisie ha sei anni quando si ritrova contesa nella causa di divorzio tra i due. Coccolata o dimenticata, messa spesso in mezzo suo malgrado, la bambina si trova bene solo con Margo, la nuova moglie del padre, e Lincoln, il fidanzato della madre, che si occupano di lei con la dedizione e la sicurezza che i genitori non riescono a garantirle.
La derivazione del soggetto da un racconto di Henry James serve agli autori più che altro come fiore all'occhiello. Giustamente, come si conviene ad una fotografia contemporanea, i lati più apertamente ignobili dei genitori letterari sono stati espunti, così come il loro servirsi del tramite di Maisie per farsi la guerra come e più di prima della sentenza. Del matrimonio tra Beale e Susanna non sappiamo quasi nulla, se non che è una storia già finita prima che lui se ne vada ufficialmente, ma ciò che cambia le cose e segna il termometro dei tempi, è la motivazione per cui i due combattono per avere Maisie: una ragione affettiva, perché l'amore incondizionato della figlia è una riserva di affetto di cui hanno disperatamente bisogno per nutrire i loro narcisismi.
Posto che, rispetto al racconto ottocentesco, si sta raccontando un'altra storia, appare comunque evidente che dallo stereotipo (voluto) di una certa società arida e arrivista si è passati qui -meno volutamente- allo stereotipo degli adulti di oggi, egoisti e immaturi. Julianne Moore e Steve Coogan sono capaci di trovare qualche sfumatura nei loro personaggi, ma si rimane a chiedersi che interpretazione avrebbero potuto dare se solo ne avessero avuto la possibilità e i loro ruolo non fossero stati confinati a comparsate in squarci di situazioni. La stessa Onata Aprile nei panni di Maisie, giustamente incensata per la sua performance, trae il massimo da quel che le è concesso adoperare: ridotta al silenzio o quasi, si fa puro sguardo e con il solo sguardo regge l'arco intero del film, rispondendo in questo modo a due necessità drammaturgiche, quella di incarnare il punto di vista sulla vicenda e quella di rimanere un mistero.
Cosa sapeva Maisie , infatti, è tanto una dichiarazione di intenti (raccontare un divorzio esclusivamente attraverso i suoi riflessi sulla bambina) quanto la domanda che riempie il nocciolo sentimentale del film, perché cosa passi dalla testa della piccola non è dato sapere e, anche se nel finalissimo una risposta in un certo senso arriva, è per forza una risposta molto parziale. Per finire la carrellata, si dirà che Alexander Skarsgard e Joanna Vanderham hanno, da un lato, gioco facile, incarnando le figure positive e il romance che (insieme alla proverbiale resilienza dei bambini) fa del film una commedia anziché un dramma reazionario, ma dall'altro non sono esenti dalla polarizzazione eccessiva che investe tutti quanti i personaggi.