Regia: Xavier Dolan. Sceneggiatura: Xavier Dolan. Fotografia: André Turpin. Montaggio: Xavier Dolan. Costumi: Xavier Dolan. Musiche: Eduardo Noya. Interpreti: Anne Dorval, Antoine-Olivier Pilon, Suzanne Clément. Produttori: Xavier Dolan, Nancy Grant. Distribuzione: Good Films. Origine: Canada, Francia, 2014. Durata: 134'.
Diane è una madre single, una donna dal look aggressivo, ancora piacente ma poco capace di gestire la propria vita. Sboccata e fumantina, ha scarse capacità di autocontrollo e ne subisce le conseguenze. Suo figlio è come lei ma ad un livello patologico, ha una seria malattia mentale che lo rende spesso ingestibile (specie se sotto stress), vittima di impennate di violenza incontrollabili che lo fanno entrare ed uscire da istituti. Nella loro vita, tra un lavoro perso e un improvviso slancio sentimentale, si inserisce Kyle, la nuova vicina balbuziente e remissiva che in loro sembra trovare un inaspettato complemento.
C'è spazio per una persona sola nei fotogrammi di Mommy. Letteralmente.
Il formato scelto da Xavier Dolan per il suo nuovo film infatti è più stretto di un 4:3. Inusuale e con un altezza leggermente maggiore della larghezza, costringe a prevedere una persona sola in ogni inquadratura o a strizzarne due per poterle guardare da vicino. Come un letto a una piazza. Attraverso questa visione simile a una gabbia, Dolan racconta di nuovo di un figlio e una madre, cercando di cogliere una complessità inedita nella storia della rappresentazione di questo rapporto al cinema e finendo per creare tre personaggi lontani da qualsiasi paragone o altri esempi già visti, che si presentano come destinati all'infelicità sebbene condannati a provare a sfuggirgli. Intrappolati in un formato claustrofobico, non gli rimane che sognare la libertà e serenità di un irraggiungibile 16:9.
Nonostante infatti un inizio di gran ritmo e divertimento, lentamente i medesimi eccessi che suscitano risate diventano una catena. Le battute e le interazioni non cambiano ma dal ridicolo si passa alla compassione quando da un livello superficiale di osservazione si entra dentro alla famiglia e ciò che ci appariva divertente si trasforma in un inferno. E' solo una delle tante piccole raffinatezze di questo quinto film di Xavier Dolan, sempre caratterizzato dalla volontà di non negarsi il piacere della sottolineatura (i consueti ralenti, il gioco con i formati, l'uso di musiche molto note) in storie che nulla hanno di normale. La grande dote del cineasta ragazzino è di immaginare archi narrativi diversi da quelli cui siamo abituati, storie che cercano il coinvolgimento senza ricorrere al consueto ma anzi stimolando curiosità nuove, e di saper condire tutto ciò con una capacità di generare immagini come pochi altri sanno inventare. Steve che zittisce la madre mettendole una mano sulla bocca e poi bacia il dorso della mano stessa frapposta tra le loro labbra è un momento di inusitata forza, perfetto per chiarire d'un colpo il loro rapporto fatto di soprusi e violenza che alimentano e rendono difficile comunicare amore.
Dolan ha il merito indubbio di cercare le sensazioni forti unito al pregio di trovarle, fa di tutto per strappare lacrime ed è quindi molto difficile non commuoversi di fronte ad un certo pietismo per l'illusoria ricerca di un'impossibile felicità che anima le speranze dei personaggi. Confondere il desiderio di catarsi di un'autore che sa picchiare come un pugile professionista con il bieco arruffianamento del pubblico sarebbe però una prospettiva miope incapace di comprendere il più bel film passato al Festival di Cannes.
Dopo tre film che in un modo o nell'altro mettevano in contrasto madri disamorate con figli bisognosi di comprensione, ora Dolan è passato dall'altra parte della barricata e il risultato ne guadagna. Steve è il meno gestibile dei figli possibili, malato e bisognoso d'affetto è capace di distruggere tutto quel che gli è intorno e sua madre forse è il soggetto meno indicato per curarlo, prendere una parte questa volta è impossibile, perchè ci vorrebbe la migliore delle famiglie per Steve, invece si ritrova una donna incapace a gestire anche se stessa. Da qui Mommy parte verso i lidi meno prevedibili, perchè nella violenza che caratterizza il loro rapporto lentamente emerge una delle forme d'amore più genuine che si possano immaginare, comunicato senza nessuna sottigliezza, solo urlando e passando per clamorose scenate. Mentre il mondo intorno a loro pensa che si odino, lo spettatore lentamente comprende che non è così.
Il salto di qualità però Mommy lo fa non puntando unicamente su un contrasto titanico che da solo basterebbe ad animare il film. Ambientando la storia in un futuro a breve termine (solo un anno in avanti) introduce elementi di fantasia come una legge inesistente che gli consente di piegare gli eventi in maniere altrimenti impossibili (oltre ad affermare una libertà creativa dissetante), in più tra madre e figlio posiziona anche un terzo personaggio che alla lunga si rivela il più interessante: una vicina di casa con problemi psicosomatici di balbuzie e una vita che forse non l'aiuta. Remissiva, specie se confrontata ai due tifoni umani che comincia a frequentare, la Kyla di Suzanne Clement introduce lo spettatore nell'assurda vita della famiglia Deprés ma dopo poco supera lo statuto di "personaggio osservatore" e diventa un terzo polo d'attrazione sentimentale, lasciando entrare un'emotività sommessa da dove nessuno se l'aspetterebbe