Regia: Tim Burton. Sceneggiatura: Scott Alexander, Larry Karaszewski. Montaggio: Jc Bond. Fotografia: Bruno Delbonnel. Musica: Danny Elfman. Costumi: Colleen Atwood. Scenografia: Rick Heinrichs.
Interpreti: Amy Adams, Krysten Ritter, Christoph Waltz, Jason Schwartzam, Danny Huston, Terence Stamp, Stephanie Bennett, Heather Doerksen, Andrew Airlie, Jon Polito, Elisabetta Fantone, Emily Fonda.
Produttore: Lynette Howell, Scott Alexander.
Distribuzione: Lucky Red.
Origine: USA, 2013.
Durata: 104’
Quando carica la figlioletta sull'automobile e lascia il primo marito, Margaret Ulbrich è una giovane donna senza soldi, che dipinge per passione e per necessità quadretti semicaricaturali di bambini dagli occhi smodatamente grandi. Opere intrise di sentimentalismo e di un gusto kitsch, che raggiungeranno però un enorme e inaspettato successo quando a commercializzarle sarà Water Keane, secondo marito di Margaret e "wannabe artist" a tutti i costi. Spacciando i quadri della moglie per propri, per quasi un decennio, Walter costruisce un impero su un'enorme bugia, riuscendo ad abbindolare l'America intera. Finché Margaret non si ribella. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, dicono. Eppure sotto gli occhioni dei milioni di "figli" dei Keane, si cela una delle più grandi frodi dell'arte contemporanea.
In un'epoca, a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, in cui l'arte femminile non era presa in seria considerazione, il plagio che Walter opera ai danni della moglie si racconta come una storia d'amore della stessa epoca, di quelle che cominciano con la seduzione e finiscono per alzare la voce se lei fa resistenza. Ma il femminismo è alle porte e Margaret ne è a suo modo una pioniera.
Tim Burton è amico della vera Margaret Keane, ha comprato alcune sue opere in tempi non sospetti, e forse è solo con la motivazione dell'affetto che si spiega questo nascondersi del regista dentro il suo stesso film fino a rendersi quasi introvabile. Eppure Burton c'è, la sua è la firma nel primo strato, quello coperto dall'autografo a olio del plagiatore, ma bisogna davvero pensare che abbia giocato a mascherarsi lui stesso, parlando di furto d'identità, per spiegare un film così maledettamente illuminato dalla luce del sole, dove i personaggi vestono mise colore pastello in case color pastello con piscina e angolo bar.
Mentre lascia che la biografia scritta dall'esperta coppia di sceneggiatori Scott Alexander e Larry Karaszewski proceda cronologica e fedele, e lascia altresì che Christoph Waltz furoreggi nell'arte dell'istrione, oltre la commedia e oltre la gigioneria, nell'incomparabile (s)vendita di sé che domanda il personaggio, Burton si nasconde in poche inquadrature, negli occhi di Amy Adams che guida e piange nell'unica scena notturna (che sono il sentimento ad ingrandire e non la matita o il trucco) o in quelli degli orfani del quadro "esagerato" (leggi mostruoso) che spariscono dentro la cassa di legno e lasciano il museo destinati ad un vero oblio.
Nel resto del tempo, Tim Burton sparisce dietro al regista di Big Eyes, lasciandoci a misurare la differenza tra queste (s)fortunate creature seriali e altre creature dagli occhi grandi (in fondo, anche per lui è un marchio di fabbrica) di un cinema che fu, a chiederci se si sia mai veramente sostituito ai primi registi incaricati (gli stessi sceneggiatori), se questo film sia arte e se sia degno di figurare nella galleria delle opere da lui firmate. E forse ride, di sottecchi.