Regia: Philippe de Chauveron. Sceneggiatura: Philippe de Chauveron, Guy Laurent. Montaggio: Sandro Lavezzi. Fotografia: Vincent Mathias. Musica: Marc Chouarain. Costumi: Eve Marie Arnault. Scenografia: François Emmanuelli.
Interpreti: Christian Clavier, Chantal Lauby, Ary Abittan, Medi Sadoun, Frédéric Chau, Noom Diawara, Frédérique Bei, Julia Piaton, Emile Caen, Elodie, Fontan.
Produttore: Romain Rojtman.
Distribuzione: 01 Distribution.
Origine: Francia, 2014.
Durata: 97’
Claude e Marie Verneuil sono una coppia borghese, cattolica e gollista. Genitori di quattro figlie, tre delle quali coniugate rispettivamente con un ebreo, un arabo e un asiatico, vivono nella loro bella proprietà in provincia e pregano dio di maritare la quarta con un cristiano. La loro preghiera viene esaudita. Euforici all'idea di celebrare finalmente un matrimonio cattolico, ignorano che Charles, il futuro marito della figlia minore, ha origini ivoriane. Alla delusione si aggiunge l'animosità del padre di Charles, ex militare intollerante e insofferente alla colonizzazione europea dell'Africa. Tra provocazioni, alterchi e vivaci scambi di vedute, l'amore avrà naturalmente la meglio.
A Claude e Marie Verneuil non resta adesso che una cena in città in cui accomodare l'ultimo genero, finalmente cattolico e già adorato perché si chiama Charles, come il presidente de Gaulle. Ma il loro Charles, nero, ivoriano e in procinto di sposare la loro quarta figlia, è la goccia che fa traboccare il vaso e il razzismo ordinario che sta alla base del successo della commedia multietnica di Philippe de Chauveron.
Commedia francese che gioca sull'identità, la differenza, la religione, il razzismo e naturalmente i matrimoni misti, parlando ai comunisti e ai gollisti, o più genericamente alla sinistra e alla destra. Muovendosi nemmeno troppo sottilmente tra immigrazione e integrazione, tra antisemitismo e globalizzazione, materia di ardente attualità nella società francese, Non sposate le mie figlie esibisce cliché e tabù e sviluppa l'opinione rimarcata dal personaggio di David Benichou secondo cui siamo tutti in fondo un po' razzisti. Soprattutto gli uomini, le donne viceversa nel film sembrano meno permeabili ai pregiudizi e istintivamente inclini alla tolleranza e all'alterità. Grande successo della stagione cinematografica francese appena trascorsa, Non sposate le mie figlie ha raccolto (ap)plauso e consenso anche fuori dai confini nazionali, in virtù della regia, della sceneggiatura, della performance attoriale ma soprattutto del tema sociale svolto, che trova eco in altri territori di immigrazione.
Intorno a un tavolo e davanti a un bicchiere di vino francese si risolvono poi le contraddizioni di questa commedia corale, che predica una chance (gli immigrati sono francesi come gli altri e hanno gli stessi diritti degli altri, il matrimonio è una cosa buona e bella e tutti siamo fratelli) e poi bazzica un patriottismo un po' desueto, forzando tout le monde a dichiarare l'orgoglio nazionale con la mano sul cuore. Non sposate le mie figlie alleggerisce con la risata ecumenica l'inquietudine e le contraddizioni che agitano la società francese, 'celebrando' col matrimonio un sentimento di disagio condiviso. È il razzismo partecipato a renderci davvero simili. Integrazione raggiunta insomma, non contro il pregiudizio ma grazie al pregiudizio.