Regia: John Madden. Sceneggiatura: Ol Parker. Montaggio: Victoria Boydell. Fotografia: Ben Smithard. Musica: Thomas Newman. Scenografia: Martin Childs.
Interpreti: Bill Nighy, Maggie Smith, Richard Gere, Judi Dench, Dev Patel, David Strathairn, Penelope Wilton, Celia Imrie, Tamsin Greig, Tina Desai, Diana Hardcastle, Ronald Pickup.
Produttore: Graham Broadbent.
Distribuzione: 20th Century Fox.
Origine: USA, Regno Unito 2015.
Del precedente “Marigold Hotel”, tratto nel 2011 dal romanzo “These foolish things” di Deborah Moggach e diretto dal medesimo John Madden, già a partire dal lungo prologo ritroviamo in scena quasi tutti i pensionati inglesi che approdarono in India nell’elegante ma decadente albergo del titolo, ereditato dal giovane ed ingenuo Sonny Kapoor, con il volto del Dev Patel di “The millionaire”, intenzionato a trasformarlo in un hotel di lusso.
Quindi, se Muriel Donnelly alias Maggie Smith è ora co-direttrice della struttura al fianco dello stesso Sonny, insieme al quale, considerando l’affluenza di clienti propensi a trattenersi per periodi prolungati, sogna di ingrandirsi nel secondo Marigold Hotel, Judi Dench e Bill Nighy tornano a vestire i panni di Evelyn e Douglas, che si avventurano a Jaipur con un piano di lavoro in mente e chiedendosi a cosa porterà il loro appuntamento fisso a colazione; mentre Ronald Pickup e Diana Hardcastle sono ancora Norman e Carol, finiti a navigare nelle acque vorticose di una relazione speciale, e Madge, ovvero Celia Imrie, si destreggia tra due corteggiatori entrambi molto allettanti.
Tutti in ottima forma, come di consueto, per riportare sullo schermo la combriccola di simpatici personaggi che hanno decretato il successo del capostipite ed ai quali vanno ad aggiungersi l’investitore ed imprenditore David Strathairn, con le fattezze di Ty Burley, Lavinia Beech, con quelle di Tamsin Greig, unicamente interessata a scovare il luogo ideale dove la madre possa soggiornare rilassandosi, e Guy Chambers, incarnato da Richard Gere e che trova una musa per il suo prossimo romanzo nella genitrice di Sonny, oltretutto prossimo al matrimonio.
E sono proprio le esagerate riverenze di quest’ultimo - per motivi che vi lasciamo scoprire – nei confronti dell’uomo e a discapito della “povera” Lavinia a riservare alcuni dei momenti più divertenti dell’operazione, gradevole quanto il precedente capitolo – sceneggiato da Ol Parker come questo secondo – e destinata a tirare in ballo anche situazioni di danza in stile Bollyood.
Man mano che il protagonista non manca di rivaleggiare con Kushal, interpretato da Shazad Latif, e che viene ribadito sia che le cose buone bisogna attirarle perché non vengono da sole, sia che, per alcune di esse, vale la pena aspettare.
Con le tensioni discretamente gestite all’interno delle diverse vicende intrecciate ed immancabile, indispensabile spruzzata di buoni sentimenti nel ricordare che non vi è un dono grande come il tempo, che non esiste fine ma solo un posto in cui si lascia una storia e, soprattutto, che non dobbiamo cercare di controllare cosa sarà di noi, in quanto il divertimento comincia quando ci si lascia andare.
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