Regia: James Vanderbilt. Sceneggiatura: Mary Hapes, James Vanderbilt. Montaggio: Richard Francis-Bruce. Fotografia: Mandy Walker. Musica: Brian Tyler. Costumi: Amanda Neale. Scenografia: Glen W. Johnson. Interpreti: Cate Blanchett, Robert Redford, Elisabeth Moss, Dennis Quaid, Topher Grace, Bruce Greenwood, David Lyons, Lee Anne Ford, John Benjamin Hickey. Produttori: Brad Fisher, Doug Mankoff.
Distribuzione: Lucky Red.
Origine: U.S.A., Australia, 2015.
Nel 2005 Dan Rather, celeberrimo anchorman del network televisivo americano CBS, rassegnò le sue dimissioni in seguito alla controversia esplosa dopo la messa in onda di un servizio che metteva in discussione l'appartenenza dell'allora presidente George W. Bush alla Guardia Nazionale Aerea durante la guerra nel Vietnam. Responsabile di quel servizio era Mary Mapes, una produttrice televisiva che, per il programma giornalistico "60 Minutes", aveva realizzato molti storici scoop con grande intuito giornalistico. Maples ha poi raccontato la storia di quella controversia in un memoriale che è la base su cui James Vanderbilt, sceneggiatore alla sua prima regia (nonché erede della celebre dinastia di bramini newyorkesi), ha strutturato il copione di Truth, solido e coinvolgente dramma nella tradizione americana del cinema hollywoodiano che esplora i rapporti tra politica e giornalismo.
La messi in scena è classica e rigorosa, anche se dichiaratamente di parte, ovvero dalla parte di Mary Mapes e di Dan Rather, e racconta con ritmo incalzante e continui colpi di scena ciò che succede in un network televisivo quando il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare. Ma al di là del resoconto della vicenda realmente accaduta, Truth è una riflessione su come sta cambiando la cronaca e come, in particolare, stia scomparendo il giornalismo di inchiesta: troppo costoso, troppo pericoloso, troppo soggetto al fuoco incrociato dei poteri forti e del popolo di Internet, che se da un lato ha fatto da cane da guardia della libertà di informazione, dall'altro ha dato voce a centinaia di anonimi troll e lanciatori di fango, ancor più velenosi quando il bersaglio appartiene al sesso femminile.
In modo artificiale ma efficace, la sceneggiatura di Vanderbilt semina nella prima parte tutti gli ami che andrà a recuperare nella seconda, compresi gli accenni al passato oscuro della Mapes e all'importanza del coraggio per un giornalista davvero intenzionato a raccontare quella verità che dà titolo al film. La verità è al centro della storia anche perché, nel grande circo multimediatico, sembra contare meno di un'opinione strillata, o di uno scandalo ben confezionato. Spesso dunque si perde di vista la sostanza dei fatti, o la gravità di certe azioni, per dare spazio alle querelle e alle chiacchiere, e quando questo succede a farne le spese è la democrazia.
Le complicazioni della trama sono semplificate dagli stessi espedienti visivi che caratterizzano i programmi televisivi di approfondimento politico, e il montaggio serve ad aggiungere spettacolo e pathos ad una storia altrimenti troppo didascalica.
Truth si colloca su un crinale storico, quello fra informazione vecchio stile, affamata di scoperte e coraggiosa fino all'incoscienza, e informazione nell'epoca in cui le notizie non si cercano ma rimbalzano di sito in sito, di blog in blog, senza che chi le ripropone si prenda la responsabilità di verificarne la veridicità.
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