Regia: Eric Lavaine. Titolo Originale: Retor chez ma mère. Sceneggiatura: Hector Cabello Reyse, Eric Levante. Fotografia: Franҫois Hernarea. Montaggio: Vincent Zuffranier. Interpreti: Josiane Balasko, Alexandra Lamy, Mathilde Seigner, Philippe Lfebvre, Alexandra Campanacci, Jèrome Commandeur, Nathan Dellemme, Philippe Lefebre, Pascal Demolon, Cècile Rebboah, Didier Fiamand.
Produttori: Vincent Roget, Jerome SEYDOUA, Ludovic Douillet. Distribuzione: Officine Ubu. Origine: Francia, 2016.
Stèpanie aveva un matrimonio e un lavoro ma li ha persi entrambi ed è costretta a tornare a vivere con la madre in una casa in cui fa troppo caldo, non si può bere direttamente dalla bottiglia né splamare il burro col primo coltello che capita, e quando vengono a cena il fratello e la sorella non può che finire male. Mentre è chiusa in casa per cercare di mettere ordine nella propria vita, Stéphanie si ritrova ad osservare la madre mettere in atto strani comportamenti e subito pensa che si tratti di un principio di demenza senile, ma la verità è un'altra.
Ci sono commedie che nascono dall'affondo della scrittura al di fuori della comfort zone di un personaggio, là dove è più vulnerabile, scoperto, talvolta letteralmente nudo. Sono fatte di spregiudicatezza e di un pizzico di cattiveria e portano a risultati comici o tragicomici. Torno da mia madre non appartiene a questa categoria: il perimetro della sua zona d'appartenenza è circoscritto e il copione non si avventura mai oltre, pur rasentando i bordi in molte occasioni e dunque lasciando intravedere le possibilità in tal senso. Al centro del film di Eric Lavaine c'è il tavolo della sala da pranzo, emblema della famiglia e di una commedia che passa attraverso il dialogo e le relazioni. Una commedia leggera, dunque, non nel senso della farsa degli equivoci (anche se questo aspetto è presente, affidato a una Josiane Balasko in ottima forma), ma proprio di una penna che non calca la mano, che tampona con la tenerezza e un goccio di malinconia ogni piccola deriva, e non conosce spietatezza.
Il registro è quello del naturalismo e dello specchio della quotidianità, con la volontà di non dimenticare nel conto elementi di reale attualità come la crisi economica, la difficoltà di reinserirsi nel mondo del lavoro che incontra una donna non più giovanissima e la piccola grande sofferenza che le comporta separarsi dal figlio, anche per poco, e nonostante il buon rapporto con l'ex. Sono ami, però, che il regista appende alla lenza e poi dimentica di controllare se hanno prodotto un esito, se qualcosa ha abboccato. Il film di Lavaine, infatti, sembra scordare, dalla metà in poi, i problemi sociali e identitari di Stéphanie per concentrarsi sul segreto della madre e sulla cronaca famigliare che ne deriva. Questo cambio di rotta, insieme con la soluzione semplicista del maggior conflitto in campo (la situazione finanziaria della protagonista) impedisce a Torno da mia madre di poter aspirare ad essere qualcosa di più di un film di piacevole intrattenimento, e tuttavia, una volta appurato il raggio d'azione, sarà facile apprezzarne le sfumature di verità e il gioco di classe delle tre interpreti femminili.
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