Regia: Richard Linklater. Sceneggiatura: Richard Linklater. Fotografia: Shane F. Kelly. Montaggio: Sandra Adair. Scenografia: Bruce Curtis, Gabiella Villarreal. Costumi: Kan Perkis. Interpreti: Blake Jenner, Juston Street, Ryan Guzman, Tyler Hoechlin, Wyatt Russell, Temple Baker, Glen Powell, Zoey Deutch, Adriene Mishler, Jessi Mechler, Taylor Ashley Murphy. Produttori: Sean Daniel, Megan Ellison. Distribuzione: Notorius Pctures. Origine: U.S.A., 2016.
Texas, 1980. Jake sbarca al campus dove si appresta a cominciare il suo corso di studi. Lanciatore nella squadra di baseball dell'università ha una camera in una casa affollata di compagni che pensano principalmente a godersi la vita, seducendo fanciulle, bevendo birre e ballando agghindati nei club. Integrato molto presto nel gruppo di gioiosi conviventi, Jake si innamora di Beverly, una studentessa d'arte e spettacolo che sembra ricambiarlo. Tra una scazzottata e un allenamento, Jake e compagni approfitteranno della 'ricreazione'.
Tutti vogliono qualcosa comincia dove Boyhood finiva la sua corsa e ritorna sul 'debutto alla vita' di Richard Linklater all'università di Austin in Texas e nel settembre del 1980, l'anno in cui Reagan diventa presidente e la disco e il punk sono al loro apice, la permanente è ancora un must e il sesso protetto è ancora un divertente ossimoro. Ma l'intervallo è (quasi) finito e la campanella suona l'inizio delle lezioni per Jake e la sua generazione fracassona e baffuta. Ventitré anni dopo il regista texano ritorna sulle tracce del suo teen-movie La vita è un sogno, oggetto di culto negli States con cui questo campus movie di maschi alfa condivide il testosterone e la medesima coolness drammatica.
Svolto in una sequenza fluida di quadri saturi di colori e di sonorità pop dove le ore sembrano dilatarsi all'infinito, Tutti vogliono qualcosa ribadisce l'ossessione di Linklater per il tempo, la fascinazione per la sua circolarità proustiana. E nel suo scorrere senza posa quello che coglie l'autore è il movimento stesso della vita da cui non pesca mai gli snodi simbolici ma i momenti complementari. Il suo cinema è una suite malinconica di attimi consueti mentre le epoche scorrono, le mode passano, le trame sfilano. Tutti vogliono qualcosa è un flusso di coscienza che restituisce immediatamente l'esperienza del tempo che scorre fuori dal nostro controllo e aggrappato a cose, parole, baleni marginali eppure pieni di una loro bellezza. Everybody Wants Some!!, a cui il titolo italiano ha tolto i punti esclamativi (Tutti vogliono qualcosa), è un'autentica esplosione di gioventù al ketchup dove le boutade e le cretinerie rimbalzano come palline da ping pong e lo spirito di corpo assume la forma di una competizione feroce a tutti i livelli dell'esistenza: sport, corteggiamenti, amicizia. Dopo Boyhood e la celebre trilogia (Prima dell'alba, Before Sunset, Before Midnight), che testimoniano la sua vocazione per la materia temporale e le sue contingenze, Linklater segue come DeLillo le vicende di una pallina da baseball e trova il suo homerun.
Un fuoricampo mitico, fuori dal tempo e prima della fine della ricreazione che cattura l'istantanea di uno sguardo e l'essenza di un istante che ancora una volta l'autore ci invita a condividere. Da Boyhood alla baldoria di Tutti vogliono qualcosa, il progetto resta lo stesso: scannerizzare una generazione attraverso gli occhi di un adolescente alla soglia dell'età adulta. E con le epoche cambiano anche gli occhi. Questa volta sono quelli di un pitcher che trasloca con una valigia e una scatola di vinili al campus e in un decennio di tensione sociale e di rilassamento dei costumi. Un'età non ancora minacciata dall'ombra scura dell'AIDS e al massimo allarmata dal ritardo mestruale della fidanzatina di turno. Nel tempo di un weekend, l'autore rappresenta una muta di sportivi spensierati e aperti a tutte le esperienze che riserva l'internato. In quella bolla di tempo sospeso e promesse appese che precedono un debutto, si agitano un gruppo di studenti americani le cui azioni e infrazioni alle regole della casa (niente alcol e niente donne ai piani alti) restano senza effetto e conseguenze.
Linklater fissa per sempre l'intervallo in cui i ragazzi abbandonano il nido familiare ma non adempiono ancora agli obblighi della vita adulta, un'anticamera ludica disponibile ai loro desideri e all'invenzione di sé. E in quel preludio vintage, che ricrea l'istante dell'intesa segreta con lo spazio-tempo sconosciuto, il regista ha pensato un giorno come il suo personaggio di diventare giocatore di baseball professionista. Ma resistente quanto Jake, è l'unico a non portare i baffi e a rifiutare di scegliere una materia dominante che lo costringerebbe a un'identità permanente, Linklater decide per entrambi la libertà. Perché la libertà è il movimento (verso qualcosa, verso qualcuno). L'attrazione che Jake, Sisifo sul monte di lancio, prova per una studentessa d'arte e l'incontro fortuito con un vecchio compagno di liceo convertito al punk gli rivelano culture sconosciute e la possibilità di una relazione alternativa con l'esistenza, affrancata dal vincolo delle convenzioni sociali.
College-movie senza corsi o match di baseball, Tutti vogliono qualcosa è sviluppato con una minuziosità documentata e applicata al décor, ai costumi, agli accessori, al look (i baffi solidi e rock di Freddie Mercury) e alla musica (il titolo è anche una canzone di Van Halen), nessun'altra referenza temporale esterna al campus arriva a perturbare le attività ricreative dei nostri che cantano "Rapper's Delight" a squarciagola e teste a tempo in una scena che riassume l'edonismo splendido splendente degli anni Ottanta. Di cui resta adesso questo film esclamativo. Un coupe de foudreche passa per un coup de fil. Una telefonata che non sapresti dire se breve o interminabile ma che miracolosamente ti innamora.
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