Regia: Anne Fontaine. Sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Anne Fontaine, Sabrina B. Karine, Philippe Maynial, Alice Vial. Fotografia: Caroline Champetier. Musica: Gregoire Hetzel, Emiliano Caballero, Eric Debegue. Montaggio: Annette Dutertre. Scenografia: Joanna Macha, Kinga Babczynska.
Interpreti: Lou de Laàge, Agata Buzek, Agata Kulesza, Vincent Macaigne, Joanna Kulig, Eliza Rycembel, Katarzyna Dabrowska, Anna Pròchniak, Helena Sujecka, Mira Maluszinska. Produttori: Eric Altmayer, Sian Bolland.
Distribuzione: Good Films. Origine: Francia, Polonia, 2016.
Polonia, anno 1945. Mathilde Beaulieu è una giovane dottoressa francese della Croce Rossa. Quando una suora polacca, cerca il suo aiuto, Mathilde la segue nel convento di benedettine, dove scopre che molte di loro, violentate dai soldati russi nel corso di una violenta irruzione, sono rimaste incinte e sono sul punto di partorire. Tenuta al segreto professionale, cui si aggiunge quello imposto dalla madre superiora e dalla situazione, Mathilde fa visita al convento di notte, esponendosi a non pochi rischi, e supera gradualmente la paura e la diffidenza delle monache, arrivando a stabilire con una di loro, Suor Maria, uno scambio profondo.
Anne Fontaine, che da sempre racconta storie di donne, supera questa volta la dimensione individuale per approcciare quella collettiva, non solo perché s'immerge nella vita di comunità del monastero, con la sua drammaturgia di caratteri differenti, differenti motivazioni, paure e gerarchie, ma perché, sollevando il velo su una prassi di guerra tanto atroce quanto purtroppo comune, parla di ciò che non può essere ignorato da nessuno, nemmeno nel nome del pudore o della presunta protezione (ed è questo concetto ad essere tradotto, nel film, nella vicenda tragica della madre superiora).
Lo stile di regia sembra tener presente un'ampia destinazione del messaggio: la storia forte non si traduce mai in immagini forti, la vita della protagonista fuori dalle mura del convento è romanzata a fini narrativi e il film si chiude su una nota forse eccessivamente ottimista. Ma è una scelta di tono dalle motivazioni autoedividenti, e forse l'unica possibile per un film di questo tipo, che è anche e soprattutto un racconto di resistenza e di superamento (o elaborazione) del male.
Fontaine impiega nel migliore dei modi gli strumenti a disposizione, a partire dalle interpreti - Lou de Laage, ma soprattutto Agata Buzek (Maria) e Agata Kulesza (la madre superiora) -, e poi la luce, e il dialogo: tutto è mantenuto con saldezza entro limiti ben posizionati ed efficaci, sebbene più dal punto di vista narrativo che da quello prettamente filmico.
Ispirato al diario del medico francese di stanza in Polonia Madeleine Pauliac, Agnus Dei (titolo italiano che riprende nel significato l'originale Les Innocentes) trasforma la scrittura scarna e cronachistica degli appunti privati in un racconto vivo e pulsante, che trae una sorta di universalità e anche di contemporaneità dal fatto di essere ambientato in un mondo, quello del convento, dove il tempo ha un altro passo, più lento, quasi immobile. È dunque la Polonia del 1945, ma potrebbe essere la Bosnia del 1993 o l'Africa di oggi. Divise tra l'essere donne per natura e spose di Cristo per scelta, grazie alla mediazione della discreta Mathilde, le suore del convento trovano, col tempo, nella maternità, un'identità e una vocazione che può placare il dissidio. Parallelamente, nella collaborazione tra la religiosa Maria e l'atea Mathilde che porta alla soluzione finale, si compie una delle linee più riuscite del film, quella che va oltre lo scandalo e la denuncia e parla il linguaggio della relazione.
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