Regia: Oliver Stone. Sceneggiatura: Kieran Fitzgerald, Oliver Stone, Cuke Harding, Anatoly Kucheren. Fotografia: Anthony Dod Mantle. Montaggio: Alex Marquez. Scenografia: Mark Tildesley, Véronique Melery. Costumi: Bina Daigeler. Musiche: Craig Armstrong.
Interpreti: Joseph Gordon-Levitt, Shalene Woodley, Scott Eastwood, Melissa Leo, Nicolas Cage, Tom Wilkinson, Timothy Olyphant, Zachary Quinto, Ben Schnetzer, Rhis Ifans, Joely Richardson, Jaymes Butler. Produttori: Moritz Borman, Eric Kopeloff.
Distribuzione: Bim Distribuzione. Origine: U.S.A., 2016.
Nel 2013, barricato in una stanza d'hotel ad Hong Kong, il ventinovenne Edward Snowden, ex tecnico della CIA e consulente informatico della NSA, ha rivelato, dati sensibili alla mano, al quotidiano inglese The Guardian e alla documentarista Laura Poitras, l'esistenza di diversi programmi di sorveglianza di massa, programmi di intelligence secretati, che garantiscono al governo statunitense un livello di sorveglianza estremamente invasiva e contraria ad ogni diritto alla privacy sul proprio territorio e sul resto del mondo, fatta passare con l'alibi della sicurezza.
Il caso Snowden, con i suoi tratti di abusi e di paranoia, sembrava fatto apposta per finire in un film di Oliver Stone e per molti versi si trova effettivamente al posto giusto. Innanzitutto, la biografia è un genere che a Stone riesce bene, soprattutto perché, là dove ci sono una storia vera e una cronologia nota, può sbizzarrirsi nella fase che più lo intriga, e cioè il montaggio. Poi, nella parabola di Snowden c'era, bello e pronto, il discorso dell'addestramento militare volontario, che va di pari passo con la domanda sul patriottismo che fa da sfondo a tanti film del regista di JFK (chi è più fedele allo spirito americano: chi contesta o chi obbedisce?). Infine, il tema della corruzione, della politica ostaggio del denaro (e dunque dell'industria bellica), di un Paese in cui non si cerca la verità ma si tenta di nasconderla. Stone è ossessionato da questo tema, ma non è meno ossessionato Snowden stesso, che si arruola per tener fede al motto delle forze speciali "De oppresso li ber", che fa quel che fa perché ciò che ha visto è contrario ad ogni (suo) principio e vuole interrogare il mondo sull'argomento. Ideologia e azione, insomma, sono gli ingredienti di cui sono fatti tanto il caso Snowden che il cinema di Stone ed è questa coincidenza che tiene alto il film nonostante non tutti i momenti stiano allo stesso livello.
Un'altra buona ragione risponde al nome di Joseph Gordon-Levitt. La performance dell'attore previene il regista dal rischio di strafare: la sua interpretazione sposta il discorso ideologico dal piano potenziale della politica a quello della scelta individuale, di coscienza, proiettando improvvisamente il piccolo mago del computer nella schiera degli uomini che hanno fatto la Storia, dei singoli che hanno spostato la montagna. È la lettura del mistero Snowden che fa Stone, una lettura personale, ma la prova di Gordon-Levitt la sostiene senza cedimenti.
Sul piano tecnico, Stone ha raffinato forse più di chiunque altro la pratica della drammatizzazione di eventi reali, gli basta perciò raccogliere il testimone della Poitras, con un passaggio di mano letterale della telecamera, per poi prendersi carico di costruire a piacimento. Quello che funziona è la base, la coincidenza tra la visione del regista e quella del protagonista, che guardano con terrore all'idea che, come una bomba che per colpire un bersaglio uccide tutti quanti i civili innocenti nei paraggi, i danni collaterali della guerra americana per il controllo delle informazioni potrebbero rivelarsi incalcolabili.
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