Regia: Daniel Frankel. Sceneggiatura: Allan Loeb, Andrea Logiudice Agnesina. Fotografia: Maryse Alberti. Musica: Mychael Danna. Scenografia: Kara Zeigon. Costumi: Leah Katznelson-
Interpreti: Will Smith, Keira Knightley, Edward Norton, Kate Winslet, Helen Mirren, Naomie Harris, Michael Pena, Jacob Latimore, Enrique Murciano, Kyle Rogers. Produttori: Anthony Bregam, Bard Dorros. Distribuzione: Warner Bros. Origine: U.S.A., 2016.
La bellezza "collaterale" è il timido splendore delle cose, il fascino inatteso di un gesto gentile, la luce che irradia da un incontro o da un luogo e che diventa accecante non appena nasce, si sviluppa ed esplode in chi si riapre alla vita un fortissimo senso di appartenenza.
Ecco spiegato il titolo del nuovo film di David Frankel, già regista di alcuni episodi di Sex & The City e soprattutto (fra gli altri) de Il diavolo veste Prada, con cui questo Xmas movie (e poi spiegheremo perché lo è, al di là della data di uscita, che da noi però è leggeremente slittata) condivide l’ambientazione newyorchese, anche se la città dell’Empire State Building è meno scintillante e romantica, meno frenetica e soprattutto dotata di una personalità meno ingombrante. Il che è anche giusto, perché in Collateral Beauty molto si gioca nella mente e nel cuore (o comunque nel ristretto entourage) di un uomo che si è ammalato di una depressione "eccentrica", un pubblicitario non più di grido che ha perso la sua adorata figlia di sei anni e trascorre le giornate in stato quasi catatonico.
Il lutto, eccolo qui! E per di più legato alla scomparsa di una bambina… che argomento difficile da affrontare, e che situazione "ostile" da raccontare, a meno che non si voglia annegare nel melmoso stagno del trito melò o non si desideri essere ricattatori come un qualsiasi cancer-movie o come il campione di pessimismo cosmico 21 grammi. Collateral Beauty, invece, per merito dell’originale sceneggiatura di Allan Loeb, il melò in parte lo evita, inventandosi i personaggi di tre attori di teatro a cui i migliori amici e colleghi del protagonista chiedono di fingersi "il tempo", "l’amore" e "la morte", tre concetti astratti ai quali lo sventurato ha scritto lettere di protesta. Muovendosi così fra realtà e finzione, fra maschere più o meno pirandelliane e individui concreti che provano testi sconosciuti in polverosi teatrini Off-Broadway, il film riesce anche a trasformare il dolore in commedia, affidando fra l’altro a una regina come Helen Mirren una meravigliosa (e ironica) tirata e intrecciando sempre due modi di recitare diversi: uno più naturale, l’altro più caricato.
Ma non basta. Nonostante l’interprete principale del film sia un Will Smith dolente e intenso proprio come lo abbiamo visto nei mucciniani La ricerca della felicità e Sette anime, Frankel e Loeb non si fanno problemi a metterlo in secondo piano, alternando alle sue "biciclettate" e alle sue inutili visite a gruppi di supporto una serie di scene a due nelle quali i compagni di lavoro di Howard e le tre "personificazioni" dialogano su argomenti importanti. E’ qui che Collateral Beauty è diverso da tante storie che abbiamo visto sul grande schermo, in particolare durante le festività. Certo, amore, morte e tempo hanno un po’ l’aria dei dickensiani Spiriti dei Natali passati (perché arrivano in momenti topici), ma invece di insegnare la bontà allo Scrooge di turno o di spaventarlo, dicono cose vere e schiette: a una donna sola troppo vecchia per avere figli, per esempio, o a un uomo che soffre di un brutto male.
Questo film emoziona, facendoci ripensare ai nostri cari che non ci sono più o ai bivi che abbiamo ormai irrimediabilmente superato, ci teniamo con piacere un Edward Norton in pieno possesso di un talento da commedia, la scoperta Jacob Lattimore e il messaggio - anch’esso natalizio e molto poco legato all’individualismo e alla smodata ambizione del Nord America - che non è sempre necessario farcela da soli. Esistono gli altri, e nei periodi terribili possono davvero aiutarci.
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