Regia: Gastón Duprat, Mariano Cohn. Sceneggiatura: Andrés Duprat. Fotografia: Mariano Cohn. Montaggio: Jeronimo Carranza. Musica: Toni M. Mir. Costumi: Laura Donari. Interpreti: Oscar Martinez, Dady Brieva, Andrea Frigerio, Belén Chavanne, Nora Navas, Gustavo Garzòn, Ivàn Steinhardt. Produttori: Adolfo Blanco, Mariano Cohn. Distribuzione: Movies Inspired. Origine: Spagna - Argentina, 2016.
Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura, l'ha profetizzato nel suo antiretorico discorso svedese: la massima onorificenza farà di lui un monumento, spedendolo anzitempo al museo. Da cinque anni, infatti, non scrive niente di nuovo, e sono più gli inviti che rifiuta di quelli che accetta. Quando però arriva via lettera una richiesta da Salas, minuscolo paese argentino, decide di andare. A Salas, Daniel Mantovani è nato e cresciuto, e da là è fuggito, senza mai tornare, quarant'anni or sono, costruendo la sua identità sul rifiuto di quel luogo e della sua mentalità. Una volta in Argentina, lo scrittore è oggetto di un'accoglienza trionfale, ma col passare dei giorni le cose peggiorano, le sue opinioni non piacciono, si solleva un malumore sempre più generalizzato, un'aria nientemeno che di violenza.
El ciudadano ilustre si apre sulla reazione polemica del protagonista nel contesto ufficialissimo della consegna del premio Nobel e strappa subito un sorriso, facendo pensare alla boutade, ad una sequenza d'apertura scritta per essere efficace e spiazzante in modo ironico. Non è così. Non è una boutade. Il resto del film conferma non solo l'ottimo livello della scrittura e dell'umorismo messo in campo, ma soprattutto una generale intelligenza del film, emotiva e intellettuale, che è la sua migliore eredità.
Duprat e Cohn, coppia creativa, costruiscono una loro "strategia del ragno" su un tema politicamente scomodo e indelicato quale il divario culturale tra il personaggio di Mantovani e i tanti compaesani dai quali ha preso a suo tempo le distanze, e lo fanno con lo strumento della commedia, anche esilarante, ma che non diventa mai presa in giro. Non lo diventa perché quella fotografata, con una misura chirurgica, davvero ammirabile, non è un'esagerazione, bensì un ritratto veritiero. Il camion dei pompieri, la reginetta di bellezza, il concorso di pittura, l'esaltazione della grigliata, il filmato in power point, così come la trasmissione radiofonica, ci fanno morire dal ridere ma nessuno di noi potrebbe negare che sono cose che accadono, e nemmeno gonfiate (l'unica estremizzazione, a fini drammaturgici, è quella del Nobel). Ugualmente, nel ritratto del protagonista, non c'è alcun ridimensionamento di servizio: quel che i registi gli fanno dire, l'accento posto sulla distinzione tra autobiografia e finzione, è materia seria e plausibile, senza sconti. Perché quello è il punto, e loro hanno trovato la giusta misura.
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