Regia: Jim Sheridan. Soggetto: Sebastian Barry. Sceneggiatura: Johnny Ferguson, Jim Scheridan. Fotografia: Mikhail Krichman. Montaggio: Dermot Diskin. Musiche: Brian Byrne. Costumi: Joan Berin. Scenografia: Jil Turner. Interpreti: Rooney Mara, Vanessa Redgrave, Jack Reynor, Theo James, Eric Bana, Aidan Turner, Tom Vaughan-Lawlor, Susan Lynch. Produttori: Noel Pearson, Paul Myler. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Irlanda, 2016.
Da 40 anni Rose è internata in un manicomio dell'Irlanda del Nord, ed è lì che incontra il dottor Grene, un medico di buona volontà che dapprima impedisce il trasferimento della donna in un'altra struttura, poi si appassiona alla sua tragica storia. Rose è accusata di aver ucciso il proprio figlio appena nato, un figlio che il paese sostiene essere stato concepito con il prete cattolico locale, e che invece la protestante Rose dice essere il frutto del suo amore per un pilota che combatte per l'esercito inglese. L'indagine del dottor Grene sul passato di Rose sarà tanto un tentativo di penetrare l'oscurità che circonda la mente della donna, i cui ricordi sono stati in parte cancellati dai ripetuti elettroshock, quanto una sorta di inchiesta per ristabilire la verità su come siano andate le cose.
C'è una chiave di lettura di questo film, molto interessante e sottilmente inquietante: che sotto la superficie esteriore ci sia un altro film, una seconda lettura che Sheridan semina discretamente lungo tutta la narrazione e che consente un'interpretazione molto più interessante della storia: un'interpretazione alla Shutter Island, anch'esso relatore di una storia ambientata in manicomio. Ciò che resta certo, in questa vicenda gotica travestita da romanzo d'appendice, è il ruolo della Chiesa cattolica in Irlanda secondo Sheridan: opprimente, ipocrita, falsamente moralista, autoassolutoria, e allo stesso tempo paradossalmente misericordiosa, tormentata dai sensi di colpa per il proprio operato troppo spesso draconiano. Rose scrive il suo diario su una Bibbia, annotando ai margini le proprie convinzioni, ma anche sovrapponendo la propria visione alla parola sacra, di fatto profanandola per rivelarne la mendacità. È Rose stessa a parlare di "malattia che impedisce di vedere la verità", e non si riferisce a sé, ma a chi spaccia per Verbo ciò che è mera interpretazione, spesso opportunistica, di un testo polivalente.
La carriera di Sheridan genera il sospetto che la vera storia da leggere in filigrana dietro ad una vicenda apparentemente delirante come le allucinazioni di Rose sia un'altra, poiché, forse inconsapevolmente, il regista instilla costantemente il dubbio che ciò che vediamo sia solo la glassa misericordiosa che ricopre verità più scomode e più dolorose
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