Regia: Hugo Gèlin. Sceneggiatura: Hugo Gèlin, Mathieu Oullion, Jean.André Yerles. Fotografia: Nicolas Massart. Montaggio: Valentin Feron. Scenografia: Emma Davis, Héléne Rey. Interpreti: Omar Sy, Clémence Poésy, Antoine Bertand, Ashley Walters, Gloria Colston, Clèmentine Cèlarié, Raphael Von Blumenthal, Ben Homewood, Raquel Cassidy, Alice David. Produttori: Stéphane Cèlérier, Philippe Rousselet. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Francia, 2016.
Continua a sformare film come se non ci fosse un domani Omar Sy, esploso in sala con Quasi Amici e da allora mai più fermatosi. Demain tout commence, per l’Italia inspiegabilmente diventata Famiglia all’Improvviso, è l’ultima fatica del gigante francese, ispirata ad Instructions not included del messicano Eugenio Derbez. Un ‘feel good-movie’ che con il passare dei minuti prende sempre più la strada del melodramma, confermando la forza del cinema transalpino nel gestire situazioni come queste.
Sy è un ragazzone molto poco affidabile che lavora come skypper nel sud della Francia, tra feste infinite, pulzelle a pioggia e pochissime responsabilità. Tutto cambia quando una donna apparentemente sconosciuta piomba sulla sua banchina con una neonata in braccio. E’ sua figlia, le dice lei, concepita 12 mesi prima esattamente su quella barca. Consegnata la piccola la donna sparisce, affidando a questo bambinone di due metri qualcuno che fino a pochi minuti prima neanche sapeva esistesse. Pur di rintracciarla Samuel vola a Londra, dove lei sembrerebbe vivere, ma qui smarrisce portafoglio, soldi e documenti, reinventandosi dal nulla con un nuovo lavoro, nuovi amici, nuova casa e una nuova responsabilità. Quella di crescere ed educare, da papà single, una figlia che diverrà presto l’unica sua ragione di vita.
Si ride abbastanza e ci si commuove il giusto con Famiglia all’improvviso di Hugo Gélin, film a più strati che Sy, dall’alto della sua fisicità, riesce a gestire con sorprendente capacità. Il suo Samuel è un eterno infante, un adolescente che non pensa ad altro se non al divertimento, è immaturo, irresponsabile, buffo, ma dall’alto della sua superficialità si trasforma nel padre dei sogni. La casa costruita e ideata per la figlia è più un parco giochi, che un appartamento, con mura di Lego, scivoli al posto delle scale, divani a forma di elefante, giganteschi omini Playmobil e un’agenda settimanale che ruota esclusivamente attorno a lei. Un rapporto padre/figlia alla Vita è Bella di Roberto Benigni, perché tutto centrato sulla menzogna a fin di bene e sulla falsificazione della realtà, che vede una madre snaturata abbandonare una neonata ad uno sconosciuto ed un papà con la testa talmente tra le nuvole dall’affidarsi alla figlia di 8 anni per comunicare con gli altri (non capisce l’inglese) e relazionarsi con i propri superiori sul posto di lavoro (fa lo stuntman per cinema e tv).
Gélin gioca di cesello, grazie anche alla straordinaria alchimia tra Sy e la bravissima Gloria Colston, seminando risate con il personaggio secondario interpretato da Antoine Bertrand, produttore cinematografico visibilmente gay che darà un lavoro ad un disperato Samuel e diverrà quasi un secondo padre per la bambina.
Improvvisa ma necessaria la svolta, che vede la degenerata madre tornare dopo 8 anni d’assenza, rivendicando con coraggio diritti genitoriali sulla figlia mai cresciuta. Ed è qui che il titolo di Gélin intraprende una strada rischiosa e complicata, virando gratuitamente verso il legal movie, prima di compiere un’altra piroetta e tuffarsi con carpiato verso un finale a sorpresa che si fa puro melodramma. Una giostra di emozioni a cui è onestamente difficilmente resistere, tanto dall’aver incassato 20 milioni di euro solo in patria, anche se frenata da un personaggio, quello della mamma, talmente borderline e indigeribile da zavorrare parte del progetto. A stridere anche l’incontro con la quasi sconosciuta figlia, esageratamente semplificato nell’immediata empatia, soprattutto se rapportato al conseguente e improvviso distacco della piccola dal papà mai lasciato. Ma è proprio l’infelice ruolo di Clémence Poésy, quello della mamma in fuga che una volta tornata si gioca la carta ‘sangue del mio sangue’, ad illuminare una realtà quanto mai attuale anche nel Bel Paese, ancora oggi diviso tra i diritti di chi ‘genera’ e i diritti di chi ‘cresce’ un bambino.
Realtà ben esplicitata nel film di Gèlin, inizialmente alla guida una ‘favola’ genitoriale allegra, patinata e condotta con forza da un Sy sorprendentemente mutevole, per poi cambiare improvvisamente corsia e ritrovarsi tra le braccia di una pellicola che scuote l’emotività di chi osserva.
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