Regia: Stéphane Robelin. Sceneggiatura: Stéphane Robelin. Montaggio: Patrik Wilfert. Musiche: Vladimir Cosma. Fotografia: Priscila Guedes. Interpreti: Pierre Richard, Yaniss Lespert, Fanny Valette, Stéphanie Crayencour, Stéphane Bissot, Macha Méril, Gustave Kervern, Anna Bederke Produttori: Fabian Gasmia, Bastian Griese. Distribuzione: Officine Ubu. Origine: Francia/Belgio/Germania, 2017.
Pierre (Pierre Richard) è un ottantenne che dalla morte della moglie passa gran parte del tempo in casa. La figlia, preoccupata per il padre, decide di regalargli un computer e chiede al giovane Alex (Yaniss Lespert), fidanzato della figlia, di dargli lezioni. Pierre si imbatte presto in un sito d’incontri dove, utilizzando una foto di Alex, conosce Flora (Fanny Valette), una ragazza che rimane affascinata dalla sua storia e dai suoi modi romantici. Quando gli chiede di incontrarsi dal vivo, Pierre dovrà convincere Alex ad andare all’appuntamento al posto suo.
Una commedia rivolta ai tempi moderni quella di Stéphane Robelin, regista e sceneggiatore al suo terzo lungometraggio. I temi sono iper noti: il web come canale primario e privilegiato di comunicazione; la solitudine collettiva che spinge anziani e non solo a vivere in una realtà virtuale, spesso fingendosi qualcun altro; le conseguenze che derivano dalla mancanza di sincerità; e il classico “l’amore non ha età”. Robelin non tratta però la materia filmica con amarezza o nostalgia: la sua è una scrittura vivace e gioiosa che, forse controcorrente, fa emergere il lato positivo del nostro presente 2.0 (o 3.0), in cui i sentimenti veri possono avere la meglio su meri numeri, pollici, emozioni gialle. Così dall’attualità si passa a raccontare un amore antico, cortese, quasi romanzesco, perché la parola torna a essere la dominante in un mondo di immagini seriali e stereotipate.
In questo, Un profilo per due sembra voler recuperare la tradizione delle commedie anni ‘80/90 dove tanta è l’attesa dell’incontro e il piacere del primo appuntamento, consumato a lume di candela vis-à-vis con un calice di vino rigorosamente rosso. Al tempo stesso si affronta sempre con leggerezza la condizione di un uomo solo, ormai avanti con l’età, che attraverso la tecnologia – usata perlopiù come pretesto narrativo –, riscopre la voglia di rimettersi in gioco e rischiare, il brivido di corteggiare e amare di nuovo.
La commedia è quindi tutta giocata su un umorismo – mai eccessivo o volgare – di equivoci e mantiene un impianto ben saldo fino alla fine, quando il protagonista dovrà aprire concretamente gli occhi e rompere il velo d’illusione. Tuttavia Robelin non ha il coraggio di prolungare la sua sofferenza e deludere lo spettatore, e ripiega su un finale buonista che mette d’accordo gli animi e i cuori.
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