Regia: Hannes Holm. Soggetto: Fredrik Backman. Sceneggiatura: Hannes Holm. Montaggio: Fredrik Morheden. Musiche: Gaute Storaas. Scenografia: Jan Olof Agren. Fotografia: Goran Hallberg. Interpreti: Rolf Lassgärd, Bahar Pars, Filip Berg, Ida Engvoli, Tobias Almborg, Klas Wiljergàrd, Chatarina Larsson, Börje Lundberg, Zozan Akgün, Viktor Baagøe. Produttori: Annica Bellander, Per Bouveng. Distribuzione: Academy 2. Origine: Svezia, 2015.
Dacché esistono le storie, i personaggi burberi e scontrosi hanno sempre rappresentato un materiale narrativo prezioso. Meglio se non giovanissimi, e meglio ancora se corazzati in questo modo per difendere e nascondere un cuore tenero e un animo sensibile: perché il giochino cui si prestano di più è quello legato all'ansia di redenzione, di miglioramento, magari anche un po' moralista, che spesso s'ingenera nel lettore o nello spettatore.
Lo Scrooge di Dickens è ovviamente un chiaro modello, in questo senso, poi mutuato da personaggi come il Grinta, Gregory House, Walt Kowalski, Melvin Udall, gli irresistibili brontoloni della coppia Lemmon/Matthau.
Ora, dalla Svezia, arriva Ove Lindahl, vedovo 59enne trattato come un esubero dal management giovane della fabbrica dove ha lavorato per una vita, ossessionato dall'ordine e dalle regole che tenta - vanamente - di far rispettare all'interno di una piccola comunità residenziale che per anni ha gestito da amministratore, prima di essere fatto fuori per la sua intransigenza.
Ove Lindahl, fondamentalmente, è un gran rompicoglioni.
E che tenti di togliersi la vita per raggiungere l'unica donna che abbia veramente amato non commuoverebbe molto i suoi vicini, quand'anche lo venissero a sapere.
Infatti, a tentare di costruire un rapporto con Ove, rovinandogli peraltro un impiccagione e un'asfissia da gas di scarico, ecco che arrivano i nuovi vicini: giovani, confusionari e rumorosi, ma tanto carini e calorosi, specie lei, che è persiana, chiacchierona e che diventa amica del vecchio brontolone per davvero.
Isn't it ironic, per uno che è ossessionato dalle auto svedesi, dalle SAAB in particolare, e che inveisce rabbioso contro chi compra tedesco o francese? Non tanto, perché Ove in fondo non ha pregiudizi di razza, genere o sesso, purché le cose vengano fatte in un certo modo.
Alla vecchia maniera, old school, perché alla fine Ove è - e non poteva essere altrimenti - un portatore di valori positivi, che finiranno con l'essere trasmessi anche ai giovani che incontra. Alle figlie della vicina in primis, che diverranno le bambine che una vita crudele non gli ha mai fatto prendere in braccio.
Si sarà capito, insomma, che la storia di Mr. Ove è paradigmatica almeno quanto il suo protagonista. Che il percorso di ammorbidimento del burbero di turno prevederà tutte le tappe previste e prevedibili per permettere a lui di sciogliere un po' dei suoi nodi interiori, e a noi di costruire un'empatia rafforzata dalla conoscenza di un background faticoso e raccontato con un po' di flashback pre-quasi-morte. Tappe che, andando avanti con il racconto, saranno anche quelle inevitabilmente destinate a rivestire il ruolo di strappalacrime.
Paradgmatico, sì. Prevedibile, anche. Ma c'è da dire che se Mr. Ove funziona, funziona grazie alla cura dei dettagli che lo rendono umano e credibile, a quei piccoli gesti nella recitazione di Rolf Lassgård e a quelli ripetitivi del personaggio che interpreta, per quell'aria sempre un po' sospesa e stralunata che hanno tanti titoli scandinavi.
Al fatto che Ove è uno che, se odia, odia solo gli idioti, in un mondo - il nostro - dove invece l'idiozia viene troppo spesso ostentata e appuntata al petto come fosse una medaglia di cui andare orgogliosi.
E sì, anche a quella piccola ma esemplare trovata legata alle automobili, al culto della macchina, all'idolatria per quel marchio stampigliato sulla calandra del radiatore.
Che, come tutto il film, fa ridere, arrabbiare e commuove allo stesso tempo.
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