Regia: Francesca Archibugi. Soggetto: Michele Serra. Sceneggiatura: Francesco Piccolo, Francesca Archibugi, Michele Serra. Fotografia: Chicca Ungaro. Musica: Battista Lena. Montaggio: Esmeralda Calabria. Costumi: Bertina Pontiggia. Interpreti: Claudio Bisio, Gaddo Bacchini, Cochi Ponzoni, Antonia Truppo, Gigio Alberti, Barbara Ronchi, Carla Chiarelli, Federica Fracassi, Gianluigi Fogacci, Sandra Ceccarelli, Donatella Finocchiaro. Produttori: Ilaria Castiglioni, Marco Cohen. Distribuzione: Lucky Red. Origine: Italia, 2017.
Il libro di Michele Serra era molto bello perché non era lo sguardo sprezzante e semplicistico su una generazione vista dall'alto di un pigro imborghesimento, come qualcuno ha voluto polemizzare: era molto bello perché, al contrario, era un figlio che parlava con sincerità un po' spiazzante e un po' commovente dell'essere padre.
Del senso di impotenza e di inadeguatezza di fronte al ruolo paterno - e per certi versi, anche un po' alla vita - di una generazione che ha lottato contro i suoi, di padri, contro le loro regole, contro il loro mondo. Senza sapere però sostituirle con altre altrettanto valide, nell'illusione che la pedagogia democratica fatta di dialogo e psicologi potesse sostituire in tutto e per tutto l'autorità e qualche sberla ben assestata al momento giusto, e lasciando in eredità ai figli un mondo complicato e privo di riferimenti, che i ragazzi navigano come meglio possono.
Era, insomma, non un atto d'accusa, ma una sorta di ironica e leggera autoanalisi da parte di chi non sa più che pesci pigliare, e che si trova di fronte a quella soglia sempre un po' inquietante che, superata, farà abbandonare per sempre l'illusione della giovinezza eterna e addentrare nell'irto bosco della vecchiaia.
Era ovvio per chiunque avesse letto il libro che per Francesca Archibugi e il suo co-sceneggiatore Francesco Piccolo non sarebbe stato affatto facile tradurre tutto questo in immagini, in una storia tradizionale; tanto più che quello di Serra è un volumetto di poco più di cento pagine, scritto come una sorta di monologo interiore. Non sorprende, quindi, che "Gli sdraiati" al cinema sia diventato qualcosa di più, si sia arricchito di personaggi, situazioni e punti di vista: senza per fortuna tradire mai quello del libro, che è rimasto centrale.
Assieme al personaggio del padre, diventato il giornalista televisivo Giorgio Selva, interpretato da Claudio Bisio, e quello del figlio "sdraiato" Tito, nel film della Archibugi ci sono allora una ex moglie, una ex amante e una, di amante, possibile e futura. Anche un ex suocero che è diventato un amico per Gianni, ed è un nonno comprensivo e complice per Tito.
Ci sono poi gli amici di Tito, una comitiva legatissima e casinara, che rischia di disgregarsi quando Tito trova nella darkettona Alice qualcosa di più di una compagna di scuola.
Tanti personaggi, tante storie, tanti temi.
Gli sdraiati regala momenti di grande verità: sia quando a esserne protagonista è Bisio, e allora i temi e le questioni sono quelli di Serra, dei padri che non sanno che pesci pigliare, sospesi tra sensi di colpa e scatti d'ira, sia quando il ritratto è quello dell'adolescenza di Tito, un'adolescenza fatta di spine tirate fuori a sproposito, di menefreghismo, ma anche di tanta fragilità e di tanto bisogno di affetto (e perché no, di regole), di primi amori, di gelosie amicali, di equilibri di gruppo difficili da rispettare.
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