Regia: George Clooney. Sceneggiatura: Ethan e Joel Coen, Grant Hesalov, George Clooney. Scenografia: Jan Pascale. Fotografia: Robert Elswit. Montaggio: Stephen Mimone. Musica: Alexandre Desplat. Interpreti: Matt Damon, Julianne Moore, Oscar Isaac, Glenn Fleshler, Megan Ferguson, Jack Conley, Noah Jupe, Gary Basaraba. Produttori: Samuel e Victor Hadida. Distribuzione: O1 Distribution. Origine: U.S.A., 2017.
Gardner Lodge vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky. La sorella gemella di Rose, Margaret, è sempre con loro, per aiutare in casa. L'apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell'età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L'intera comunità di Suburbicon s'infiamma e si adopra per ricacciare indietro "i negri" con ogni mezzo. Intanto, due delinquenti, irrompono nottetempo nell'abitazione dei Lodge e li stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose.
Comincia con una scena madre, dunque, il film di Clooney che innesta uno script di parecchi anni fa dei fratelli Coen con la storia vera dell'ondata di violenza che scatenarono, in quegli anni, le prime installazioni di famiglie di colore nei centri residenziali della middle class bianca e xenofoba.
Una scena che parrebbe uscire da "A sangue freddo", il romanzo-reportage di Capote sul quadruplice omicidio della famiglia Clutter nella provincia del Kansas, ma che diventa immediatamente altro quando l'obiettivo si ferma sullo sguardo terrorizzato di Nicky, mentre assiste impotente all'omicidio della madre. Quello sguardo di bambino, e tutti gli altri momenti di questo tipo che punteggiano il film da lì in poi (sguardi di Nicky dal ballatoio, da sotto il letto, da dentro l'armadio), ci dicono subito che anche, sotto la patina di una dark comedy in cui il primo termine pesa più del secondo, l'ultimo lavoro di Clooney è ancora una volta un moral play.
Istericamente ossessionata dalla paura di un nemico esterno (possibilmente con la pelle di un altro colore) l'America non si avvede che la violenza più bieca, la minaccia più agghiacciante, è dentro le proprie case, nutrita dall'avidità e dall'invidia. Ma è una cecità tutt'altro che involontaria (vengono eretti dei pali per negare la visione dei Meyers che celano opportunamente anche la vista sull'altro lato del muro di legno), mentre coraggiosamente volontaria dev'essere invece quella dei due ragazzini ("Fai finta che non esistano"), per salvarsi la vita.
Clooney impasta tutto questo con un umorismo e una sfrenatezza che sono quelli ormai classici del "made in Coen": ma il classico non stanca, è tale perché regge.
L'everyman di Matt Damon, la gemella che visse due volte di Julianne Moore, la coppia grottescamente inetta di criminali, il casco della parrucchiera, il lavandino con la soda caustica, il piccolo guantone da baseball sono figure e oggetti di un mondo ben congegnato allo scopo: quello dell'intrattenimento inteso come veicolo di un affondo politico, la cui esposizione potrà apparire facile ma il cui tempismo è drammaticamente innegabile.
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