Regia: Rian Johnson. Sceneggiatura: Rian Johnson, George Lucas. Scenografia: Richard Roberts. Fotografia: Steve Yedim. Montaggio: Bob Ducsay. Musica: John Williams. Costumi: Michael Kaplan. Interpreti: Daisy Ridley, Adam Driver, Oscar Isaac, Domhnall Gleeson, Mark Hamill, Carrie Fisher, Harrison Ford, Gwendoline Christie, John Boyega, Benicio Del Toro, Peter Mayhew, Lupita Nyong’o, Anthony Daniels, Andy Serkis, Jimmy Vee. Produttori: Ram Bergman, Kathleen Kennedy. Distribuzione: Walt Disney. Origine: U.S.A., 2017.
Mentre il Primo Ordine si prepara a stroncare quel che resta della Resistenza, Rey consegna a Luke Skywalker la spada laser che fu sua, invitandolo a interrompere il suo esilio per salvare il mondo libero. Ma Luke non ne vuole sapere e il Lato Oscuro tesse la sua trama letale attorno agli ultimi ribelli.
Ormai è soprattutto una questione di aspettative. Un equilibrio tra la voglia di voler bene a una saga che si è portata via una fetta della nostra vita e l'inevitabile gelosia di chi avverte che quella fetta gli è stata sottratta, modificata o peggio ridicolizzata. Un equilibrio difficile da controllare, almeno quanto quello tra la Luce e il Lato Oscuro della Forza.
Perché gli eroi, che restano "giovani e belli", restano per sempre associati a quei tre, Han, Leia e Luke, nei tre film che hanno cresciuto intere generazioni.
Niente li potrà rimpiazzare. Anche solo una proiezione, un ologramma, uno spettro digitale estratto da quell'età dell'oro mette più soggezione della moltitudine di personaggi e creature che riempiono la sceneggiatura di Gli ultimi Jedi. Rian Johnson lo sa. E per questo, su mandato forse della Disney, è stato designato come sicario per mettere fine, una volta per tutte, a quel ricordo ingombrante. A guidarlo è la volontà scientemente iconoclasta di chi sa che occorre cancellare il passato, affinché possa scattare un minimo di empatia per i nuovi personaggi.
D'altronde lo ripetono tutti incessantemente nella sceneggiatura di Gli ultimi Jedi che il passato è passato, come in un mantra, desiderosi di voltare bruscamente pagina. L'emulazione che si avvicinava alla mimesi di Il risveglio della Forza diviene così strappo violento, in cui l'arma più letale a disposizione è la messa in ridicolo. Se un certo humour sbruffone - tipico di Han Solo - è sempre stato cifra stilistica della saga, Gli ultimi Jedi dà libero spazio all'autoironia senza freni. Ogniqualvolta ci si avvicina a un dialogo solenne, grave e decisivo, subentra un motto di spirito o una battuta da sitcom, come se negli anni Dieci del nuovo millennio prendere sul serio una space opera fosse impossibile. In linea con la tendenza del blockbuster recente, specie disneyano, tutto è meritevole di un sorriso o di una strizzatina d'occhio, in dialoghi che potrebbero essere scritti servendosi di emoji. Ma non era forse il prendersi sul serio alla base della credibilità di Jedi e spade laser?
Mancano prove certe al riguardo, ma in Gli ultimi Jedi cresce il sospetto che le morti o i cambiamenti repentini dei personaggi (Kylo che distrugge il casco, per limitarsi a ció che si può rivelare) siano strettamente correlati al comune sentire dei fan. Scelte figlie più della sondaggistica disneyana presso il proprio popolo che di un'autentica coerenza narrativa. Sequenze epiche (i contrasti di bianco e rosso della battaglia finale, l'addestramento di Rey sull'isola) si alternano ad altre così superflue e maldestre da lasciare esterrefatti (la tediosa battaglia navale del prologo, il segmento in una sorta di Las Vegas sci-fi).
Ma oggi, in tempi che dipendono in maniera patologica dalla serialità, industrializzati e mercificati allo spasimo in una titanica catena di montaggio, forse un blockbuster può essere solo questo. Ovvero l'esatto opposto del progetto amatoriale e pionieristico portato a termine da George Lucas 40 anni prima. Non conta la cura del dettaglio, conta principalmente l'accumulo. Dare al pubblico ciò che desidera, oppure strapparglielo all'improvviso per aumentare il suo desiderio. Consapevoli che, nell'impossibilità di confrontarsi con quel passato, non è rimasta altra scelta che abbatterlo, o riderci sopra.
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