Regia: Sou Abadi. Sceneggiatura: Sou Abadi. Montaggio: Virginie Bruant. Musiche: Jerõme Rebotier. Fotografia: Yves Angelo. Costumi: Justine Pearce. Interpreti: Fèlix Moati, William Lebghil, Camèlia Jordana, Anne Alvaro, Predrag “Miki” Manojlovic, Carl Malapa, Laurent Delbecque, Oscar Copp, Oussama Kheddam, Walid Ben Mabrouk, Mostafa Habibi. Produttore: Michael Gentile. Distribuzione: I Wonder Pictures. Origine: Francia, 2017.
Leila e Armand studiano a Scienze Politiche e si amano. I genitori di lui sono iraniani che hanno lasciato la patria dopo l'avvento di Khomeini. Lei invece si vede piombare in casa il fratello Mahmoud, reduce dallo Yemen dove ha aderito al radicalismo islamico. Una delle sue prime imposizioni è quella di impedire alla sorella di incontrare Armand. Il quale però trova una soluzione. Indossa l'abito integrale che lascia scoperti solo gli occhi e si presenta a casa di Leila come una fanciulla di nome Sheherazade bisognosa di lezioni. La “studentessa”' attrae però l'attenzione amorosa di Mahmoud e questo complica non poco le cose. Come recitava una massima che ripetevano i nostri nonni “non tutto il male viene per nuocere”. Perché Sou Abadi stava lavorando a una produzione cinematografica in Israele che si è fermata e questo avvenimento l'ha spinta a rivolgere il suo sguardo all'interno delle sue stesse radici culturali. Ha così realizzato questo film che, grazie ai toni della commedia, è riuscito a raggiungere una vasta platea in Francia e ne merita una altrettanto ampia in Italia. Perché il sorriso, l'ironia e l'autoironia possono produrre talvolta più risultati positivi di saggi ed articoli paludati.
La regista non è e non vuole essere antimusulmana ma è e sa essere antioscurantista. Mahmoud vuole imporre a Leila la sua volontà attraverso frasi fatte derivate dalla sua solo pretesa conoscenza del Corano che difatti inizia a comprendere meglio quando Armand/Sheherazade si trova costretto a documentarsi in materia per reggere il gioco e, di conseguenza, attraendone una focosa attenzione. Passando da Maometto a Victor Hugo si consuma la possibilità di una deradicalizzazione di un giovane uomo che ha visto la moschea affermarsi come l'unico luogo in cui poter socializzare in Francia. Leila ha imboccato una strada diversa e ha trovato l'amore in un Armand che deve fronteggiare l’ostruzionismo dei genitori e, in particolare, della madre ancor oggi disposta a gesti eclatanti pur di poter sostenere idee libertarie. Tutto ciò sostenuto dal gioco del travestimento con tutte le varianti farsesche che possono derivarne ma che sono sempre tenute sotto controllo.
A Sou Abadi non interessa la sola risata di pancia. Quella che preferisce (e che sa come ottenere) coinvolge la testa senza però mai far leva su battute o situazioni xenofobe o comunque razziste. Leila e Armand provengono da quei mondi che vengono messi alla berlina ma non aderiscono alle loro storture. Hanno saputo guardare oltre e ci chiedono di ridere con loro non perché Sous Abadi pensi che una risata seppellirà la jihad ma perché ci potrà aiutare a saper distinguere. Sarebbe già il conseguimento di un ottimo risultato.
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