Regia: Antonio Albanese. Sceneggiatura: Antonio Albanese, Andrea Salerno, Stefano Bises. Fotografia: Roberto Forza. Montaggio: Claudio Cormio. Musica: Pasquale Catlano. Interpreti: Antonio Albanese, Aude Legastelois, Alex Fondja, David Anzalone, Daniela Piperno. Produttore: Domenico Procacci. Distribuzione: O1 Distribution. Origine: Italia, 2017.
Mario Cavallaro è un abitudinario incallito. Tutto ciò che richiede un cambiamento lo spaventa e lo irrita al contempo. Ha un solo hobby: l'orto che ha realizzato sulla terrazza dello stabile in cui abita nel centro di Milano. Quando si ritrova dinanzi al suo negozio di calze un africano ambulante che vende lo stesso articolo a prezzi stracciati, elabora un piano che potrebbe servire da modello. Decide di rapirlo e riportarlo in Africa. Se tutti facessero così il problema dell'immigrazione extracomunitaria sarebbe risolto...
L'agro infatti prevale nettamente in questo film e se sono poche le occasioni per sorridere, quelle per ridere risultano limitatissime. Perché Albanese questa volta vuole "raccontare questioni complesse in modo paradossale" riuscendovi grazie all'iniezione di dolente malinconia che permea l'intero film.
Mario Cavallaro non è un uomo cattivo; è fondamentalmente un uomo solo che ha fatto del non cambiamento uno scudo protettivo che si costella di aculei quando si trova davanti coloro che finiscono con il tentare, con il loro modo di vivere, non di distruggerlo ma solo di scalfirlo. Come tanti di noi risponde in modo infastidito alle richieste di oboli o acquisti di vario genere che gli vengono avanzate da venditori ambulanti che hanno la pelle di un colore diverso dal suo. Non sa che in Africa si dice che "chiedere non è rubare" ma sperimenta solo l'insistenza nella richiesta che può fare la differenza.
Anche la sua 'vittima', che si porta dietro quella che presenta come sorella, non è priva di difetti e questo è un elemento che accresce il valore di una sceneggiatura che non vuole indulgere né alla retorica né al manicheismo. Da una parte e dall'altra ciò di cui ci si è privati (le proprie origini per gli uni e una vita che contempli un lasciarsi andare al sentimento per l'altro) ha finito con l'imprimere un segno e con lo spingere a una coazione a ripetere gli errori.
Albanese ci vuole invitare a sperare in qualche piccola crepa che consenta di arrivare, se non allo sgretolamento, almeno a una breccia nei muri divisori. Così da permetterci di guardare all'altro, al diverso da noi non ingenuamente (perché sarebbe stupido farlo) ma neanche arroccati nel pregiudizio. Mario, Oba e Dalida sono chiamati a un on the road che non va solo da Milano al Senegal ma dal proprio io passato al proprio io futuro.
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