Regia: Karey Kirkpatrick e Jason Reisig. Sceneggiatura: Sergio Pablos, Karey Kirkpatrick. Montaggio: Peter Ettinger. Musica: Heitor Pereira. Produttori: Glenn Ficarra, Phil Lord. Distribuzione: Warner Bros. Origine: U.S.A., 2018.
Gli yeti vivono felici e operosi sulla cima di una montagna, che poggia su una coltre di nubi sostenuta da quattro mammuth e oltre la quale non vi è che il grande nulla. O almeno questo è quello che dicono le pietre che compongono la veste del guardiapietre, sacerdote della loro civiltà. Poi ci sono "gli strani", un gruppetto di giovani che avrebbe qualcosa da dire al riguardo. Ma Migo non fa parte di loro: Migo non si sognerebbe mai di mettere in discussione la verità di una pietra. Almeno fino al giorno in cui non vede con i suoi occhi uno "Smallfoot" e la sua mente si riempie di pressanti e inaspettate domande.
La gang di Kirkpatrick allestisce un'allegoria efficace e divertente sul tema della paura del diverso e sul difficile rapporto tra conoscenza e credenza, rivoluzione del pensiero e tendenza a conservare lo status quo, talvolta anche per ottimi motivi. Tutto è curato nei particolari perché l'architettura del mondo immaginato risulti credibile e affascinante (un po' come il villaggio dei vichinghi di Dragon Trainer, ma con altre, più morbide ed ingenue fattezze) e soprattutto sufficientemente lontana dal mondo tutto schermi e ansia di riconoscimento dello smallfoot, l'essere umano. Ma chiaramente si scoprirà che la differenza non è poi così abissale e che le fake news sono un problema in entrambi i contesti.
Anche se non possiede la vertiginosa intelligenza dei racconti di un dottor Seuss, nei momenti migliori il film di Kirkpatrick ricorda la splendida lezione di filosofia di Ortone e il mondo dei Chi e, in generale, sa girare il telescopio da un capo e dell'altro, alternando fantasia e realtà, per ricordare che spesso è soltanto una questione di prospettiva.
Sebbene il rovesciamento di prospettiva non sia una trovata nuova ma sia anzi un topos vero e proprio della narrazione contemporanea di animazione (da Monsters & Co. a Hotel Transylvania, per dirne due soltanto), questo non toglie nulla alla fondatezza dell'idea e alla riuscita dell'impresa, quando a sostenerla ci sono le qualità tecniche e quelle di scrittura.
I colori, le canzoni, le pellicce soffici e buffe degli yeti e la sproporzione dimensionale tra loro e gli umani collocano Smallfoot al posto giusto per rientrare tranquillamente nel gusto dei più piccoli. L'etichetta distributiva che lo indica "per tutta la famiglia" questa volta sta dalla parte della verità.
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