Regia e Sceneggiatura: Hervé Mimran. Fotografia: Jérome Alméras. Montaggio: Célia Lafitedupont. Costumi: Emmanuelle Youchnovski.
Interpreti: Leila Bekhti, Fabrice Luchini, Igor Gotesman, Fatima Adoum, Louise Loeb, Geoffroy DeLaTaille, Alexia Séféroglou, Rebecca Marder
Produttori: Matthieu Tarot.
Distribuzione: Bim Distribuzione. Origine: Francia, 2018.
Alain Wapler va di corsa. Sprezzante amministratore delegato di una nota azienda automobilistica, non ha tempo per i perdenti e per la famiglia. Alla vigilia della presentazione di un nuovo modello di vettura ibrida, ignora i segnali di allerta del suo corpo e crolla. Colpito da un ictus che gli causa un deficit cognitivo, Alain confonde le parole e le sillabe, perde i ricordi e il filo della vita. A riordinargli il linguaggio e l'esistenza lo aiuta Jeanne, una giovane ortofonista alla ricerca della madre biologica. Tenace e paziente, Jeanne corregge la disarticolazione e insegna ad Alain il valore del tempo. Il tempo per vivere.
Ispirato alla storia vera di Christian Streiff, ex CEO di Airbus e di PSA Peugeot Citroën, Un homme pressé è la storia di una caduta e di una lenta ricostruzione.
Grande oratore, alla maniera del personaggio che interpreta, Fabrice Luchini ha servito liturgie da antologia, riempiendo i teatri con i testi dei classici della letteratura francese: da Moliére a Rimbaud, passando per Flaubert, Labiche, Baudelaire, La Fontaine con una passione per le parole e il loro senso.
Attore cerebrale e perfezionista, Fabrice Luchini prende in contropiede il suo pubblico e sceglie con un Un homme pressé l'afasia. A corto di parole per la prima volta, l'artista incandescente trova nella commedia di Hervé Mimran l'occasione di lanciarsi, senza troppi istrionismi, in voli verbali di una comicità quasi sperimentale. La performance credibile di Luchini serve tuttavia una storia di redenzione convenzionale, un percorso di crescita piatto che converte un uomo odioso in una brava persona. Troppo poco per disegnare un handicap che rivela l'uomo dietro al boss, per dire la fragilità della vita che se ne frega delle categorie socio-professionali.
Cercando di combinare sorrisi e tenerezza, Hervé Mimran consegna completamente il film al suo protagonista che lo vampirizza con un esercizio di stile incurante della (vera) storia che racconta: quella di un uomo (d'affari) in piena ridefinizione esistenziale. La sceneggiatura, leggera troppo leggera, impone il one-man-show e risorse narrative trite che conducono a conseguenze prevedibili. La sostanza si riduce alla traiettoria di un leader egoista che impara a dire "grazie" e accorda finalmente un po' di attenzione a quelli che lo circondano.
Né la gag di situazione, la corsa in sedie a rotelle che strizza l'occhio a Quasi amici, né le sottotracce che coinvolgono i personaggi secondari (l'ortofonista che cerca esitante il genitore biologico) riescono a risollevare una commedia demagogica che infila il cammino di Compostela con lo spirito di una promozione turistica. Le tappe per ritrovarsi perdono il 'pellegrino' di Luchini. Un uomo (macroniano?) "in marcia" che non va troppo lontano
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