Regia: Walter Veltroni Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Walter Veltroni. Fotografia: Davide Manca. Montaggio: Gabriele Gallo. Musica: Danilo Rea.
Interpreti: Stefano Fresi, Simona Molinari, Giovanni Fuoco, Francesca Zezza, Sergio Pierattini, Laura Ephrikian, Silvia Gallerano, Max Tortora.
Produttore: Carlo Degli Esposti.
Distribuzione: Vision Distribution.
Origine: Italia. 2019.
Alle prese con l’opera prima, un regista è bene che racconti una storia a lui molto vicina, che conosca da vicino e faccia parte della sua vita: prima regola del giovane autore, o almeno della vulgata. Non stupisce se Walter Veltroni, però, dopo alcuni documentari paradossalmente più personali, per il battesimo nella finzione abbia deciso di raccontare le sue due grandi passioni: quella per il cinema e per le storie edificanti all’insegna dei buoni sentimenti. Quindi, più che raccontare se stesso, ha voluto rappresentarsi attraverso il filtro del cinema, la mediazione di quella luce - parola d’ordine e ossessione del film - che ha illuminato i tanti film della storia del nostro cinema che ha voluto omaggiare.
C’è tempo, viaggio nelle strade blu della settima arte, è cristallizzato nell’epoca d’oro del nostro cinema, a qualche decennio di distanza, riproponendone ingenuità e buoni sentimenti senza apporre il filtro del tempo o di una rielaborazione personale, facendo in questo modo perdere carica emotiva, come se fra l’anima del film e noi spettatori ci fosse sempre una comunicazione indiretta.
Veltroni ci presenta due compagni di viaggio che si sono appena conosciuti, pur essendo fratelli, e dalla grande differenza d’età. Stefano (Stefano Fresi, ancora un omaggio, l'uso del nome proprio dell’attore che rimane al personaggio) e Giovanni (Fuoco) si guardano prima con diffidenza, con il prevedibile capovolgimento dei ruoli che ci presenta il ragazzino più maturo del cresciuto burbero e confusionario osservatore di arcobaleni. Sì, è proprio questo il poetico lavoro che impegna il nostro, insieme alla gestione di uno specchio in cima a una montagna, che porta luce d’inverno a un piccolo borgo del centro Italia, che altrimenti sarebbe al buio per molte ore al giorno. Come avete capito le metafore sono esplicitate senza pudore, la luce irrompe a ogni incontro o svolta narrativa di questo viaggio, che propone l’avvicinamento attraverso la semplice voglia di ascoltarsi e conoscersi di due persone così diverse, che vengono da due mondi diversi. I buoni sentimenti, insomma, di cui si accennava prima, e che Veltroni ritiene di questi tempi "rivoluzionari". La coppia di fratelli, va detto, funziona, grazie a uno Stefano Fresi mattatore senza mai esagerare, generoso nei confronti del piccolo Giovanni Fuoco, la cui serietà da scolaretto modello lascia filtrare le ansie di un’anima cresciuta nella solitudine e con grande bisogno di un abbraccio. Giovanni non ci piace non perché è un sapientone, ma perché vediamo da subito come la sua sia una costruzione difensiva, in una piccola storia semplice e di un candore ingenuo. Luminosa la presenza di Simona Molinari, cantante jazz prestata al cinema, con la funzione di musa erotica, ma sempre senza esagerare.
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