Regia: Jesse Peretz Sceneggiatura: Nick Hornby, Tamara Jenkins. Fotografia: Remi Adefarasin. Montaggio: Sabine Hoffman. Musica: Nathan Larson. Scenografia: Ellie Pash.
Interpreti: Ethan Hawke, Chris O’Dowd, Rose Byrne, Kitty O’Beirne, Alex Clatworthy, Lily Brazier, Ko Iwagami, Lily Newmark, Denise Gough.
Produttore: Albert Berger. Distribuzione: Bim Distribution. Origine: USA, Regno Unito, 2019.
Spesso i film hanno un’idea che si spendono nel titolo e nel trailer e poi muoiono, affogano, arrancano e iniziano a desiderare ardentemente di finire già a metà, trascinandosi tra tristi espedienti e squallidi mezzucci per aumentare il minutaggio a discapito della pazienza di chi guarda.
Juliet, Naked è l’esatto contrario, in esso ci sono almeno tre idee fenomenali che avrebbero retto altrettanti film fino alla fine, una sola delle quali usata per la promozione, che nel film si intreccia alle altre al servizio di una storia che solo alla fine, magnificamente, scopriamo non essere una di conquista d’amore (come sembrerebbe dal tono) ma una di conquista di autonomia sentimentale.
Quello iniziale è il migliore dei tre spunti non solo per intreccio (un fan appassionato di un musicista scomparso dalla vita mediatica gestisce un blog di maniaci ossessionati da notizie più o meno false su di lui, la sua ragazza subisce passivamente fino a che, con rabbia repressa e livore per problemi di coppia, scrive una pessima recensione di un disco di questo musicista e viene a sorpresa da lui contattata iniziando un clamoroso rapporto epistolare) ma soprattutto per chi sono i personaggi, come reagiscono e come il film li guarda. Lei è una dimessa ragazza di provincia inglese, tutta garbo e buone maniere che brucia dentro e rende accettabile tutto il più tiepido provincialismo britannico; lui è un professore di media studies interessante in aula e arrogante nella vita privata, la personificazione del maschio dominatore che però sostiene l’opposto pubblicamente.
Per come parte potrebbe tranquillamente essere un film di Cameron Crowe, ne ha il tono delicato e la passione che monta come un assolo di batteria a partire da battute lente, sa cesellare ogni scena e lavorare sui dialoghi meno importanti come fossero i più importanti.
A sorpresa poi emerge il secondo film a partire dalla seconda metà, cioè quello che riguarda cosa accade tra la protagonista e il musicista in questione quando questi arriva in Inghilterra. Là dove tutti i film sarebbero morti, quando la parte sorprendente finisce e inizia quella trita, sentimentale senza personalità, Juliet, Naked tira fuori un altro intreccio con altri obiettivi e altri archi per i personaggi. Ed è interessantissimo anche questo, foriero di altre idee e suggestioni affascinanti.
Infine, visto che la provenienza della storia è un libro di Hornby, anche solo tutta la parte riguardante l’incontro di un fan ossessivo con l’artista che ha sempre seguito e che ora è arrivato nella sua vita privata, poteva meritare un film a sé che sarebbe stato clamoroso. Non solo perché Hornby notoriamente è bravissimo a usare le dinamiche del fandom ma perché qui sono ben usate per far passare altro, cioè canalizzare in una passione ossessiva e malata le altre passioni e gli altri sentimenti, far professare amore scemo per un disco o una squadra, lasciando che quei sentimenti si allarghino e contagino anche a quelli più privati ed intimi.
E alla fine Jesse Peretz, il regista, non si limita a mettere in scena ma riesce a deviare il pubblico con i suoi toni da commedia usuale, lo illude di essere davanti ad un film come un altro, mentre in realtà fa femminismo attivo. Cioè non mette semplicemente in scena un modello femminile diverso, interessante e autonomo, mette in scena la sua emancipazione e lo usa per dimostrare qualcosa al pubblico. La protagonista inizialmente è indistinguibile dalle altre protagoniste di commediole romantiche, solo alla fine capiamo invece che non deve essere così che anche questi personaggi possono essere altro, e questo altro è decisamente più interessante.
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