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scheda Film
ONE HOUR PHOTO

ONE HOUR PHOTO

di Mark Romanek
con Robin Williams e Connie Nielsen

Genere: Film
Durata: 95'
Sceneggiatura e Regia: Mark Romanek Fotografia: Jeff Cronenweth Scenografia: Tom Foden Costumi: Aranne Phillips Musica: Reinhold Heil, Johnny Klimek Montaggio: Jeff Ford Prodotto da: Christine Vachon, Pam Koffler (USA, 2002) Durata: 95' Distribuzione cinematografica: 20th Century Fox PERSONAGGI E INTERPRETI Sy Parrish: Robin Williams Nina Yorkin: Connie Nielsen Will Yorkin: Michael Vartan Detective Va der Zee: Eriq La Salle Jake Yorkin: Dylan Smith L'aspetto più disturbante di Robin Williams in One Hour Photo non è il suo carattere mesto e schizoide: il divo col sorriso da zia, infatti, sta provando con un pugno di film a dimostrare la completezza delle frecce nella sua faretra espressiva, per scrollarsi un po' di dosso quel sapore troppo dolciastro, spalmatogli addosso da una sfilza di ruoli in cui fa il pasticcere dei buoni sentimenti. In Death to Smoochy è un corrotto conduttore di show per bambini, in Insomnia il cattivo che fa impazzire il detective Al Pacino, in One Hour Photo un commesso solitario naufragato in un grande magazzino. Di mestiere sviluppa le foto, con velocità e competenza, mettendoci pure una certa passione artigianale, come esorcismo volenteroso all'innegabile tristezza della sua occupazione. All'inizio del film siede in un commissariato asettico come un frigo appena sbrinato: lo accusano di qualcosa, con prove schiaccianti. Che avrà mai fatto? Ma prima di porci questa domanda interessante, siamo costretti a vacillare di fronte a un particolare che annienta tutto il resto: l'aspetto disturbante di cui parlavamo sopra. Robin Williams porta un'aureola di capelli improbabilissima, tinta di un colore delirante che sta tra il giallo e l'arancione. Oddio: il personaggio, a quella prima apparizione, è già un piccolo mostro, un conformista che sa di stantio, pateticamente fuori moda, goffo nel suo tentativo di atteggiarsi a persona innocua, rispettabile e integrata. Forse, per noi, è stato un contraccolpo inevitabile, che per riflesso condizionato si è trovato a tirare le somme col passato iperbuonista dell'attore, interprete di uomini così perfetti da far scattare un insinuante sentimento di sospetto e angoscia (pensate a Mrs. Doubtfire). Il protagonista di One Hour Photo ha un nome buffo e raro, che è già una piccola condanna: Sy ('the Photo Guy'). Dietro il bancone, Sy deve per forza deformare i suoi lineamenti in professionali sorrisi di ringraziamento, ogni volta che un cliente si avvicina col rullino tra le dita. Torna a casa e passa il tempo con afflizione davanti alla tv, solo come un cane. Uno così rischia di fare come hobby il serial killer. Anche perché talvolta lo sorprendiamo a stampare due copie della stessa foto, imboscandosene una. Viene in mente il maniaco di Red Dragon, che sviluppa home-movies e rintraccia in questo modo le belle famiglie da squartare. In uno dei momenti più intensi di One Hour Photo, abbiamo la certezza che l'inappuntabile Sy sia un pazzo potenzialmente pericoloso. Il commesso rientra nel suo anonimissimo appartamento, sprofonda su una poltrona, si gira verso una parete e ci svela una composizione ferocemente incongrua nel contesto: la parete è completamente invasa da un collage di fotografie, un formicaio multicolore di scatti che ricompone un universo domestico idilliaco, tra torte di compleanno, giochi nel tempo libero, sprazzi di felicità sospesi nell'eterno presente di una carta Kodak. Tutte le immagini ritraggono una stessa famiglia, giovane ed apparentemente beata: lui, lei, il bimbo sveglio e l'animale da compagnia. Li vorrà mica fare a pezzi? In realtà, Sy non è un demonio. Più prosaicamente, è un uomo perso nella fredda monotonia del mondo. A un certo punto, lo troviamo intento a guardare, forse per l'ennesima volta, Ultimatum alla terra in tv: scommettiamo che tiene per i terrestri, ma un po' li compatisce e in fondo si sente più affine agli ufo. La sua caduta miseranda nel girone dei perdenti, però, non lo porta allo sfogo nichilista (contrariamente ad altri due personaggi fuori registro nel grande centro commerciale della socialità contemporanea: i protagonisti di Taxi Driver e Un giorno di ordinaria follia). Sy vorrebbe integrarsi placidamente in una felicità domestica che crede possibile. La sua collezione di foto somiglia, per funzione, a quelle degli androidi di Blade Runner: costruisce un'autobiografia immaginaria, con l'illusione di scacciare il proprio senso di incompletezza. I replicanti ambivano a emulare la specie umana, Sy vuole entrare in un caldo abbraccio famigliare, anche se nei panni di uno zio putativo. Mark Romanek, lanciatissimo regista di videoclip (da Madonna ai Nine Inch Nails), si affaccia al grande pubblico dopo un primo lungometraggio avvolto nel mistero (Static). Invece di cercare la sterile esuberanza visionaria che incatena l'immaginazione di molti suoi colleghi nutriti da MTV, egli arrischia un film molto composto, tenuto a lungo in un limbo inquietante di gesti preconfezionati e ambientazioni spersonalizzanti (occhio al direttore della fotografia, Jeff Cronenweth, lo stesso di Fight Club). Insomma, cerca la tensione sottesa più che il facile coinvolgimento drammatico. L'impressione di ordine eccessivo che regna nelle immagini del film sembra parodiare, in negativo, i paradisi di inevitabile benessere che i mass media ci sparano addosso: i volti sorridenti della pubblicità, molto simili a quelli delle foto domestiche che ci scattiamo in privato. Se anche le fotografie mentono, l'impresa di Sy si riduce al fallimento completo. Per caso, il commesso scopre che l'uomo della famiglia dei suoi sogni si sollazza in una tresca extra-matrimoniale. Qui Sy perde le staffe e impugna un'arma……. di Andrea Meneghelli

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