Regia: Richard Linklater. Sceneggiatura: Richard Linklater, Maria Semple. Fotografia: Shane F. Kelly. Musiche: Sam Lipman. Montaggio: Sandra Adair. Scenografie: Beauchamp Fontaine. Costumi: Kari Perkins.
Interpreti: Cate Blanchett, Billy Crudup, Megan Mullally, Steve Zahn, Kristen Wiig, Judy Greer, Laurence Fishburne, Troian Bellisario.
Produttore: Megan Ellison. Distribuzione: Eagle Pictures. Origine: USA, 2019.
Seattle. Elgie e Bernadette sono una coppia con figlia (Bee), benestante e apparentemente felice. Elgie, però, è sempre più occupato a sviluppare il proprio progetto per Microsoft, mentre Bernadette vive con difficoltà crescente i rapporti con il vicinato e la sua condizione di casalinga. Perché Bernadette, anche se nessuno lo sa, era uno dei più brillanti architetti d'America. Quando l'equilibrio tra le tensioni contrapposte sembra cedere, Elgie decide di correre ai ripari e di intervenire, prima che la depressione della moglie abbia il sopravvento. Che fine ha fatto Bernadette? - che solo nel titolo italiano strizza l'occhio a Che fine ha fatto Baby Jane? di Robert Aldrich - non appartiene né alle opere indimenticabili né agli errori di percorso del regista di Boyhood. Ma nella sua ricercata anomalia, Bernadette rimane quintessenza della poetica di Richard Linklater e della sua inesausta interrogazione su cosa comporti passare a un'età più matura, in termini di rinunce e di opportunità.
I dolorosi bilanci in chiaroscuro della mezza età, in genere appannaggio di giocatori di baseball o musicisti rock fallimentari, toccano stavolta a un architetto. Per la precisione a un architetto donna, talentuosissimo e costretto dalle circostanze - una delusione professionale e una tormentata maternità - a fare un passo indietro. O meglio di lato, abbandonando gli ampi spazi soleggiati di Los Angeles in favore della piovosa e provinciale Seattle, dove l'ha condotta il progetto hi-tech ideato dal marito e acquisito da Microsoft.
Elgie istruisce delle macchine a interpretare i principi che guidano le emozioni umane, mentre Bernadette pratica l'esatto opposto, donando ogni dettaglio del proprio privato a Manjula, un presunto assistente virtuale indiano che cela un'identità ben più sinistra. Il punto rimane il medesimo che angosciava il personaggio di Patricia Arquette al termine di Boyhood: cosa resta del sacrificio di una vita? Una donna dispone di una terza scelta che non sia la solitudine o il fatto di negarsi per crescere i propri figli? In tempi di rivendicazioni legittime, ma che talora sconfinano in strumentalizzazione o persecuzione ad personam, quella di Maria Semple - autrice del bestseller da cui il film è tratto - e poi di Linklater sembra, nella sua semplicità, una delle cose più genuinamente femministe dette da eoni in qua.
Ma Che fine ha fatto Bernadette? sfiora molti temi della contemporaneità, come la riflessione ecologista - simboleggiata dal sottobosco sradicato che agevola la valanga di fango destinata a sommergere gli invitati dell'odiata vicina di casa - o l'impossibile desiderio di scomparire dalla vita pubblica, che resta solo un MacGuffin, accennando a quel che Che fine ha fatto Bernadette? avrebbe potuto diventare (un thriller depalmiano? Una discesa nella follia degna di Polanski?).
Il fatto di non aderire a questi archetipi è stato interpretato dalla critica americana, molto meno indulgente del consueto con Linklater, come una mancanza o una titubanza, una incapacità di gestire la complessità della materia sottesa al testo di Semple. Si tratta invece dell'irriducibile assunzione di un'identità altra rispetto a quella attesa: così come Bernie, o come altri progetti singolari intrapresi dal regista texano, Bernadette segue l'ondivago e caotico andamento della sua protagonista.
Un testo che non va seguito alla lettera, da cui non occorre attendersi qualcosa di appagante sul piano narrativo, almeno secondo i canoni consueti. Proprio come gli edifici progettati dalla protagonista, unici anche in virtù della loro eccentrica diversità, il film di Linklater sfugge a ogni aspettativa, rischiando così di far passare per difetti quelle folgorazioni che invece inseguono e sono toccate dalla genialità
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