Regia: Bill Condon. Sceneggiatura: Jeffrey Hatcher, Nicolas Searle. Montaggio: Virginia Katz. Fotografia: Tobias A. Schliessler. Scenografia: Tamsin Clarke. Costumi: Keith Madden
Interpreti: Helen Mirren, Ian McKellen, Russell Tovey, Patrick Godfrey, Jim Carter, Johannes Haukur Johannesson, Celine Buckens, Mark Lewis Jones, Lilly Dodsworth-Evans.
Produttori: Bill Condon, Andrea Johnston. Distribuzione: Warner Bros Origine: USA, 2019.
Roy e Betty, ottuagenari, si incontrano grazie a un sito di appuntamenti per la terza età. Tra i due scatta immediatamente un'intesa, che li porta a confessare l'uno all'altra di aver fatto ricorso a qualche bugia. Ma ad essere svelata è solo la punta di un iceberg: Roy vive infatti di raggiri e truffe ai danni di facoltosi e sprovveduti investitori e non rivela niente di tutto questo a Betty. Anzi, continua a mentirle sistematicamente per potersi avvicinare ulteriormente a lei. Condon si affida infatti nuovamente a Ian McKellen per ritornare sui temi che caratterizzavano il suo film migliore, Demoni e dei: un passato inquietante e impossibile da cancellare e il confronto tra generazioni differenti, con la natura machiavellica - sotto l'apparente fragilità - degli anziani che si scontra con quella pragmatica ed elementare dei giovani.
A volte L'inganno perfetto sembra quasi una sintesi tra questo film e un altro caposaldo della carriera di McKellen, L'allievo di Bryan Singer, in cui un ragazzino scopriva che il vecchio signore della porta accanto era in realtà un ex nazista sotto mentite spoglie. L'intento è quello di estendere l'inganno e l'esistenza di doppie o triple verità dal piano diegetico a quello dello spettatore ignaro, guidato per la prima mezzora sui binari di una sorta di romcom della terza età e in seguito sballottato tra generi inaspettati e svolte traumatiche. L'inganno perfetto diviene così un thriller con una curiosa radice nella storia del Novecento, anziché una commedia o un mélo, generi cinematografici che lo stereotipo vorrebbe abbinati inevitabilmente alla senilità di attori e pubblico. L'epilogo differisce per tono e ritmo rispetto alla prima metà del film da far quasi pensare a un rimaneggiamento dell'ultimo momento della sceneggiatura di Jeffrey Hatcher, che vira verso il didascalismo da mélo sulla seconda guerra mondiale dopo aver attraversato momenti di rara brillantezza. Tra questi ultimi in particolare brilla la scena in cui Roy e Betty guardano al cinema Bastardi senza gloria: la discussione che segue tra i due verte sulla percezione, da parte delle nuove generazioni, del falso storico perpetrato nel film da Quentin Tarantino.
Roy sostiene che sia diseducativo raccontare una frottola a ragazzi già così poco propensi ad approfondire le proprie origini, dove Betty invita a non sottovalutare la perspicacia dei più giovani. Un assunto che Condon intende cristallizzare a più riprese, affidando al nipote di Betty, Steven, l'onere di un'indagine rivelatrice e l'onore di un pensiero centrale per il film, sulla persistenza, nei luoghi che hanno ospitato degli eventi di rara empietà, di un'aura negativa e irrazionale.
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