Regia: Gabriele Muccino. Sceneggiatura: Gabriele Muccino, Paolo Costella. Fotografia: Eloi Molì. Montaggio: Claudio Di Mauro. Musica: Nicola Piovani. Scenografia: Tonino Zera. Costumi: Patrizia Chericoni.
Interpreti: Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Nicoletta Romanoff, Emma Marrone, Andrea Pittorino.
Produttori: Marco Belardi. Distribuzione: 01 Distribution. Origine: Italia, 2020.
Roma, primi anni Ottanta. Giulio, Paolo e Riccardo hanno 16 anni e tutta la vita davanti. Giulio e Paolo sono già amici, Riccardo lo diventa dopo una turbolenta manifestazione studentesca, guadagnandosi il soprannome di Sopravvissuto. Al loro trio si unisce Gemma, la ragazza di cui Paolo è perdutamente innamorato. In realtà tutti e quattro dovranno sopravvivere a parecchi eventi, sia personali che storici: fra i secondi ci sono la caduta del muro di Berlino, Mani Pulite, la "discesa in campo" di Berlusconi e il crollo delle Torri Gemelle, per citarne solo qualcuno. E dovranno imparare che ciò che conta veramente sono "le cose che ci fanno stare bene" e che certi amori - così come certe amicizie - "fanno giri immensi e poi ritornano".
Gli anni più belli segue volutamente il registro di concept album come "Piccolo grande amore" di Claudio Baglioni, e infatti Baglioni viene evocato nel film ben tre volte, con "E tu come stai?", "Mille giorni di te e di me" e l'inedito che accompagna i titoli di coda.
Dopo la prima mezz'ora, e dopo l'entrata in scena di Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria, il film comincia a prendere quota e a trovare un'identità che si smarca gradualmente dai cliché, rivelando un'onestà artistica credibile. Il merito è certamente degli attori, che trovano la loro misura anche all'interno dello stile dominante, ma anche di una regia che riesce a contenere i propri "difetti fatali", anche facendo leva su professionalità ben definite come Eloi Mori alla fotografia, Patrizia Chericoni ai costumi o Tonino Zera alle scenografie. Particolarmente notevole è il lavoro di montaggio di Claudio Di Mauro, specialmente nella scena del ristorante vicina alla conclusione, che destruttura magnificamente il meccanismo del campo e controcampo, e in quella dove Gemma, nelle sue varie incarnazioni, sale di corsa le scale, una delle più belle del film.
Molto ben scritti (dallo stesso regista e dal cosceneggiatore Paolo Costella) i tre personaggi maschili che corrispondono ad altrettante identità degli autori, e soprattutto delineano insieme il profilo di una generazione.
È proprio il ritratto di chi oggi è arrivato ai cinquant'anni il punto di forza e il cavallo di Troia che si insinua nella coscienza degli spettatori, de Gli anni più belli: un ritratto che finora nessuno aveva portato al cinema con altrettanta compiutezza, mettendo a fuoco una generazione sfocata, travolta da una "metamorfosi socioculturale", umiliata dal precariato e schiacciata dai padri. In questo senso il modello di riferimento dichiarato del film, C'eravamo tanto amati, fa da efficace pietra di paragone, perché i protagonisti di Gli anni più belli, smarriti e spaesati, sono l'ombra di quelli del capolavoro di Ettore Scola, ed è giusto così, perché non possono avere lo spessore e la definizione di chi ha vissuto un'Italia molto diversa dalla nostra.
Muccino fa leva drammaturgica su questo scarto epocale raccontandoci tre identità maschili depotenziate e destrutturate, come lo sono molti neocinquantenni di oggi. E alla fine ci si commuove profondamente, si riflette su dove siamo e perché, e su quali siano "le cose belle" cui stare attaccati come cozze quando il mondo intorno ci tradisce. Muccino racconta molto bene quanto sia facile sbagliare nella vita (soprattutto se è "una vita difficile") senza valutare le conseguenze di errori cui sarà arduo porre riparo, ma (grazie anche al provvidenziale suggerimento di Favino, come ha dichiarato il regista in conferenza stampa) è ancora possibile rammendare la propria vita e trovare una consolazione finale, una rappacificazione con noi stessi e il nostro bilancio esistenziale.
E l'unico eroe è quello che ha capito da subito che non bisogna lasciare che sia il mondo a definirci.
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