Regia e sceneggiatura: Haifaa Al-Mansour. Fotografia: Patrick Orth. Montaggio: Andreas Wodraschke. Costumi: Heike Fademrecht. Musica: Volker Bertelmann. Scenografie: Marie-Catherine Theiler
Interpreti: Mila Al Zahrami, Dae Al Hilali, Khalid Abdulraheem, Shafi Alharthy, Nora Al Awadh.
Produttore: Haifaa Al-Mansour, Ole Nicolaisen. Distribuzione: Academy Two.
Origine: Arabia Saudita, 2019.
Maryam è una dottoressa consapevole della responsabilità del proprio ruolo che esercita in un piccolo ospedale in Arabia Saudita. Nonostante la sua professionalità deve lottare quotidianamente contro il pregiudizio diffuso nella società nei confronti delle donne. In famiglia, anche se ha un padre musicista di ampie vedute, sono inizialmente le sorelle a frenarne le prospettive per il futuro perché già hanno dovuto subire il precedente dileggio nei confronti della madre, cantante ora defunta. Quando, in seguito a una serie di contingenze, Maryam si ritrova a firmare i documenti per la candidatura alle elezioni per il Consiglio Comunale, la situazione si fa ancor più complicata. Lunga è la strada che le donne debbono ancora percorrere in Arabia Saudita ma (appunto) dei passi sono stati compiuti e a contribuirvi è stato proprio quel La bicicletta verde che Haifaa Al Mansour presentò alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2012. A sette anni di distanza le donne possono andare in bicicletta e guidare un'auto anche in assenza di un uomo al loro fianco (cosa inconcepibile all'epoca) e si sono verificate ulteriori aperture. Ma, si potrebbe dire, inevitabilmente una parte consistente dell'universo maschile oppone una resistenza che va dal rifiuto totale degli anziani a forme più o meno subdole che hanno comunque l'obiettivo di conservare saldamente i poteri che contano in mano ai maschi.
La regista riesce a realizzare, come nella sua prova precedente, un film di denuncia senza assumere i toni del pamphlet. Lo fa sempre partendo da una dimensione familiare, da un rapporto tra sorelle che vivono in maniera differente sia il rapporto con la figura materna, ora scomparsa, che quello con il padre. Qui sta l'elemento innovativo nel percorso di Al Mansour.
Se ne La bicicletta verde gli uomini nel loro complesso non facevano una bella figura qui il genitore assume un ruolo solo apparentemente passivo nei confronti di quanto accade in famiglia. Perché è membro di un ensemble di musicisti impegnati a tenere viva una forma espressiva tradizionale che, in tempi di integralismo rampante, si è cercato di cancellare in nome della 'purezza' della fede.
Sia lui che Maryam, ognuno a suo modo, lottano perché la società muti aprendosi non a una 'modernità' che sia fine a se stessa (i social non mancano in questo film) ma piuttosto consapevole del contributo fondamentale che le donne possono offrire per 'guarire' (la metafora è esplicita) le parti dolenti della società. Tutto ciò sembra ora possibile a patto però di non cedere dinanzi agli ostacoli di quella strada non asfaltata che corrisponde al rispetto dei diritti di uomini e donne. Senza se e senza, ancora una volta, ma. õª
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