Regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio: Quentin Dupieux. Costumi: Isabelle Pannetier.
Interpreti: Adèle Exarchopoulos, Dave Chapman, Anais Demoustier, Coralie Russier, India Hair.
Produttore: Philippe Logie. Distribuzione: I Wonder Pictures. Origine: Francia, 2020.
Jean-Gab e Manu sono amici per sempre e scemi da sempre. In missione per conto di un misterioso cliente, devono consegnare una valigetta in cambio di una banconota da cinquecento euro. Rubata una vecchia auto per la trasferta, trovano nel cofano una mosca gigante e decidono di addestrarla al furto. Insieme cullano il sogno di diventare ricchi ma la strada è lunga e l'imprevisto dietro l'angolo. Mandibules è una bolla d'aria, un'ode esilarante all'idiozia servita da due imbecilli definitivi (Grégoire Ludig e David Marsais). Due perdenti assoluti che contaminano il mondo con la loro stupidità, fino al caos.
Dopo Doppia pelle, storia di una passione monomaniacale per il 'camoscio', Quentin Dupieux continua il suo bestiario cinematografico, imbarca una mosca enorme e non indietreggia davanti a niente. Nemmeno davanti alle idee più dementi che converte in commedie assurde e deliranti. Il suo cinema gira intorno a un'idea fissa e accompagna i suoi idioti infantili con tenerezza, rammentandoci che forse non sono loro i più folli.
Mandibules si fa più perturbante coi 'normali', che poi tanto normali non sono dietro i loro cancelli e dentro le loro piscine. La salute mentale, fortunatamente, difetta al film come il senso. Sopra, sotto, dietro, davanti, non c'è niente. Inutile cercare un messaggio nascosto o un sottotesto engagé.
Dupieux non impone letture, non ci guida, non ci chiede di comprendere qualcosa. Le porte sono aperte per chi vuole entrare (o uscire) e godersi un Adèle Exarchopoulos finalmente contre-emploie. Decisa a non restare l'attrice (fisica) di un ruolo (La vita di Adele), negozia una tregua e si integra perfettamente nell'universo di Dupieux. La sua Agnès, affetta da un problema vocale in seguito a un incidente sugli sci, non può impedirsi di parlare forte e di smascherare invano una "taureau mensonge" (una bugia), a cui tutti, persino il rapper Roméo Elvis, finiranno per credere. Esilarante fino all'orrore, l'ultra commedia di Quentin Dupieux celebra l'irrazionale e disegna una Francia senza senso. Se siete fan del principio di realtà lasciate stare, l'autore venera il nonsense. Vedere i suoi film vuol dire muoversi fuori dai territori battuti dalle convenzioni narrative classiche. Mandibules osserva l'anticonformismo e cerca un equilibrio tra nullità e terrore, costruendo un gioco che è sempre una bomba, una bomba inesplosa. Perché nessuno come Dupieux pratica l'arte dell'impassibilità.
Seguendo il movimento di ridimensionamento del suo cinema, già attivo in Doppia pelle, il regista firma un film à l'os. Mandibules è tranchant, secco, diritto. È un viaggio senza ritorno di due amici per la pelle, una linea dritta verso un delirio cronenberghiano.
Più esplicita e meno terrificante dell'aberrante metamorfosi di Jeff Goldblum, la grossa mosca di Dupieux è soprattutto un cadeau provvidenziale, la 'gallina dalle uova d'oro' di due insuperabili teste vuote. Mandibules assomiglia a un racconto di David Cronenberg girato però dai fratelli Farrelly (Scemo & più scemo). Il film è pieno di trovate comiche, come il tormentone "taureau", che la coppia protagonista declina in tutte le salse.
Grégoire Ludig e David Marsais non hanno lo "style de malade" di Jean Dujardin (Doppia pelle) ma fanno davvero di tutto per farsi ricordare dentro un trip eccentrico spogliato di qualsiasi intenzione. Quentin Dupieux, musicista (Mr. Oizo) prima di rivelarsi regista, fa il meno possibile, radicalizza il suo cinema e avanza inarrestabile come La Linea di Cavandoli. Una 'linea' libera che non devia mai dalla traiettoria orizzontale di cui è parte integrante. Taureau émotion.
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